Leggere alcune opere della Galleria Estense attraverso la storia di Cenerentola è stato un modo per analizzare usi, costumi tradizioni, scelte culturali, modalità educative, tra il Quattro e il Seicento, attraverso le fonti visive, ma anche un sottrarre la fiaba alle solite immagini che alimentano il sogno e la rosea immaginazione.
Dopo aver analizzato alcune "Cenerentole" proposte dalla letteratura e dalla storia propongo alcuni concetti chiave dell'educazione femminile.
Educare all'accettazione del destino e della Provvidenza
Pietro della Vecchia (1603-1678), Le tre parche con il teschio, 1625, olio
su tela. (deposito)
L'iconografia di questa opera è dubbia, tanto che il dipinto è conosciuto
anche con un titolo puramente descrittivo: Tre
vecchie con il teschio.
Il pittore, Pietro della Vecchia proviene da Venezia dove si è formato.
Egli reinterpreta un misurato gusto, pieno di ironia, che ritrae il vero
senza aggiungere il bello, rasentando spesso il grottesco, che era stata la
cifra tematica di certa pittura veneta e di Bernardo Strozzi.
Dopo un proficuo viaggio a Roma, Pietro della Vecchia apprese e
reinterpretò la luce “teatrale” dei dipinti del Caravaggio e dei caravaggeschi.
Le tre parche sono proposte in un primo piano impietoso, che ben coglie la deformazione
dei volti delle tre donne mentre sono intente ad intrecciare le loro mani e ad
unire gli indici come stessero giurando o sancendo un patto sopra un teschio.
Contrariamente al solito, le tre “parche” non hanno gli attrezzi che servono a
filare: nel dipinto è l'idea della morte appare molto più evidente rispetto
alla rappresentazione della vita.
Tuttavia la scena non è del tutto drammatica infatti è ravvivata dalla luce
morbida e dai colori caldi delle vesti, colori smorzati solo dalle tele grezze
dei copricapi che, in questa foggia, erano obbligo per le serve.
Sicuramente la mancanza di una più precisa identificazione delle donne, il
loro numero e la presenza del teschio non bastano ad identificarle come
“parche”: i loro gesti potrebbero indicare la conta degli anni passati, quindi
la fine della vita che si approssima, indicata anche dal teschio. Quest’ultimo
potrebbe far pensare ad un memento mori
ma solitamente questa iconografia non si accompagna a generiche figure
femminili, bensì a sante penitenti o ad ha altri elementi -spesso di natura
religiosa- che invitano alla meditazione.
Come Cenerentola.
La sorte è
alla base della vicenda di Cenerentola, questo è il senso dell’accostamento
della fiaba a questa tela.
La sorte
determina una serie di eventi che vanno al di là delle forze e della volontà
della fanciulla: la morte prematura della madre, l’avidità della matrigna e la
superbia delle sorellastre. A tutto ciò Cenerentola si accosta docilmente e con
piena umiltà, senza mai tentare di dirottare l’avverso destino. La sorte e la
sottomissione sono ile due protagoniste della prima parte della fiaba e
vogliono essere una guida all’educazione femminile, uno specchio in cui le
fanciulle potevano paragonarsi.
Girolamo Sellari detto Da Carpi (1501-1556) Il Caso e la Pazienza, 1541, olio su
tela.
Questo dipinto è
pervenuto in due esemplari, uno dei quali si trova a Dresda, in quanto fu
ceduto -assieme ai 100 dipinti più importanti della Collezione estense- ad
Augusto III Grande Elettore di Sassonia e re di Polonia. Infatti nel 1753 il
duca decise di privarsi di questo prezioso tesoro per rimpinguare le casse
dello stato ducali dissanguate da anni di guerre.
Questo dipinto, insieme al successivo (La Pazienza), faceva parte della decorazione
della Camera della Pazienza voluta dal duca Ercole II d’Este
(signore di Ferrara dal 1534 al 1559), nel castello di Ferrara.
Le
due figure allegoriche rappresentano l’Occasione e il Pentimento.
L’Occasione
ha i piedi alati ed è in equilibrio sul globo posto pericolosamente sul ciglio
di un burrone sotto al quale s’intravvede, lontano, un castello. I suoi capelli
sono curiosamente senza peso, non ricadono all’indietro e sulle spalle, ma
sventolano alti sul capo; nulla resta dietro alla mobile Occasione e nulla le
impedisce di avanzare: in mano ha il rasoio per tagliare gli impedimenti.
Il confronto
tra le figure che rappresentano l’Occasione e il Pentimento è reso bene
dall’accostamento dei piedi e dei panneggi: il biondo ragazzo fatica a stare in
equilibrio sulle punte dei piedi, ciò è testimoniato anche dal movimento delle
sue vesti che sono
corte e leggere e mosse come se stesse saltellando; la donna (ovvero il
Pentimento) è interamente coperta da pesanti vesti che cadono molli fino a
terra dove appoggiano saldamente i piedi, che si muovono nella direzione
contraria a quella dell’Occasione, si appoggiano saldamente.
D’altra parte l’immagine si presta anche ad
essere interpretata in maniera contraria in quanto la donna, che guarda da
dietro l’Occasione (perduta), è il Pentimento del pavido che non ha avuto il
coraggio o la capacità di cogliere e inseguire l’”occasione”.
Come Cenerentola L’occasione di conoscere
il principe è colta al volo da Cenerentola che pare non curarsi del pericolo a
cui poteva incorrere qualora, incontrando le sorellastre e la matrigna, fosse
stata additata come serva “mascherata” da nobildonna; ciò l’avrebbe ricoperta
di vergogna davanti a tutti per la propria superba sfrontatezza.
E’ proprio il coraggio, un po’ sventato, che rende Cenerentola meritevole del “risarcimento”
dalle ingiustizie che aveva pazientemente sopportato. Il tutto, nella fiaba, è
reso possibile dalla magia della fata madrina -o di un altro elemento magico-. Nella realtà la fata evidenzia il legame della ragazza con la madre che, pur dopo la morte,
resta comunque nume tutelare della figlia.
Educare alla sottomissione.
Camillo Filippi(1500 –
1574), La Pazienza , 1545, olio su tela.
Il duca Ercole II d’Este considerava la Pazienza la virtù
più importante, tanto gli era cara che la scelse come
motto ispiratore e come motivo
dominante nel progetto iconografico che fece capo al rinnovamento
architettonico e ornamentale degli ambienti privati ubicati nella torre di
Santa Caterina. La "camara" o "camaron della Pazienza" era
lo spazio più prestigioso e rappresentativo del maniero dopo che l'incendio del
febbraio 1554 aveva distrutto l'area residenziale in prossimità della torre di
sud-est, o Marchesana. Nel marzo dello stesso anno, sotto la regia di Girolamo
da Carpi, cominciò la riqualificazione di locali preesistenti tanto che già il
23 giugno Camillo Filippi venne pagato per "haver conzato il quadro della
Pacientia" (a conferma della paternità già ipotizzata dalla critica per il
dipinto oggi alla Galleria Estense).
L’allegoria è
accompagnata dal motto “SUPERANDA OMNIS FORTUNA”: la pazienza è il modo
migliore per avere la meglio sulle vicende della sorte.
La donna raffigurata appare sullo sfondo di
una parete rocciosa, ha vesti colorate e abbondanti che tuttavia non la coprono
interamente, infatti, il busto è nudo e il seno è coperto dalle mani
incrociate. La lunga veste è aperta ad arte per fare vedere la gamba sinistra
imprigionata da una grossa catena di ferro.
La posizione frontale e statica è coerente col
viso sereno, ruotato verso sinistra. Lo sguardo è rivolto verso il basso, sulla catena che la imprigiona alla roccia. A
fianco della donna sta un vaso, decorato con maschere scolpite, dal quale esce
una goccia.
La Pazienza attende immobile che la goccia
logori la catena restituendole la libertà.
Come Cenerentola: La pazienza, virtù fondamentale richiesta ad una fanciulla, è
caratteristica principale della mite Cenerentola. In questo senso la fiaba
diviene una sorta di mantra educativo che sostituisce o sostiene l’educazione
alla remissività giustificata anche dai precetti religiosi.
L’esercizio
prolungato della pazienza che porta Cenerentola a sopportare una condizione di
inferiorità: a svolgere mansioni umili, a vedersi usurpare il posto di figlia
privilegiata del padre, è risarcita attraverso la magia. Infatti, umanamente
pare una condizione inaccettabile ma tollerabile se diviene paradigma educativo
esemplare.
La pazienza,
la sottomissione, la mitezza sono in duro contrasto con la madrina e le
sorellastre che sono rappresentate come avide, interessate, impazienti e
litigiose.
Educare ad essere bella
Annibale Carracci ( 1560-1609), Venere, 1591, olio su tela, ovale 110x130
Dal 1586 Palazzo dei
Diamanti di Ferrara divenne residenza di Cesare d’Este, cugino e successore di
Alfonso II che non aveva eredi diretti. Nel 1586, morto il cardinal Luigi
d’Este -proprietario del palazzo, ma spesso assente da Ferrara- Cesare si
trasferisce in questa residenza, nella
quale andò ad abitare con la moglie, Virginia de’ Medici (figlia di Cosimo I e
di Camilla Martelli), e inizia un programma di decorazione.
Qui fu
allestito il memorabile banchetto per le nozze di Cesare e Virginia che durò 8
giorni.
Le
committenze per la decorazione del palazzo di Cesare furono moltissime e ben
documentate: tra queste, giunsero a Ferrara, quattro tele di Ludovico, Agostino
e Annibale Carracci che rappresentavano Plutone, Venere, Flora e Salaci; esse
andarono a ornare i soffitti a cassettoni delle stanze private
dell’appartamento di Virginia, presumibilmente la stanza del Poggiolo, in
concomitanza con la nascita del terzo figlio Alfonso.
I quattro
dipinti, assieme a molti altri -analoghi per forma e destinazione- vennero
trasferiti a Modena in seguito alla perdita della città di Ferrara da parte dei
duchi d’Este.
Venere, che
seduta sulle nubi guarda il figlio Cupido, tiene nella mano destra la mela
d’oro e hai suoi piedi ha due colombe che sono parte degli attributi che la
identificano. Cupido ha in mano l’arco d’oro e, sulla schiena, s’intravvede la
faretra.
Le colombe,
appollaiate sul bordo con la sorprendente naturalezza caratteristica
dell’accademia dei Carracci, introducono l’ardito scorcio della visione mitologica.
Dalle gambe
al ginocchio, dalle cosce al busto, dal seno ai capelli ornati di fiori, Venere
è nuda e seducente, viva, di carne e la sua divinità è tutta risolta dalla
noncuranza con cui si esime dal coprirsi:
adagiata su una nube si mostra perfetta con il pomo, il premio che ne
attesta la vittoria di bella tra le belle.
La nudità
colloca Venere al di sopra dei ceti sociali (definiti dall’abito e dai
gioielli) e la sua noncuranza probabilmente celebra il prestigio della nobile
Virginia che, come la dea, aveva il piccolo figlio accanto.
Come Cenerentola: la bellezza e l’eleganza di Cenerentola conquistano il principe che
rimane incantato dal suo aspetto e dalla naturale grazia con cui ballava.
L’educazione delle ragazze nobili verteva sulla cura del comportamento in
società, sulle lezioni di ballo e le regole della conversazione. L’adeguatezza
dei modi, il frequentare i salotti giusti, l’essere belle e piacevoli erano
premesse indispensabili per contrarre un matrimonio vantaggioso, fondamentale
all’equilibrio economico-sociale-politico della nobiltà.
Educare alla verginità
Giovanni
Busi, detto il Cariani (1480\85 1547), Ritratto di dama o Allegoria della Verginità,
1515-20, olio su tela, 89 x 65.
Questo
dipinto è, per molti versi, un mistero ad iniziare dall’attribuzione incerta
per lungo tempo (negli anni passati è stato attribuito a Giorgione e a Palma il
Vecchio), ora la critica propende per ritenerlo di mano del veneto Cariani.
L’opera è di
grande qualità; rappresenta un figura femminile ritratta fin sotto alla vita dietro
ad un parapetto di marmo.
La stessa
rappresentazione è ravvisata in tre copie, con poche variazioni, secondo il
catalogo on line della Fondazione Zeri
1. identificata col numero scheda 39747 collocata
presso il Museo di Belle Arti (Szépmüvészeti Múzeum) di Budapest
2. identificata col numero scheda 39748 di
ubicazione sconosciuta,
3. identificata col numero scheda 39749 collocata
nella galleria Estense
E’ evidente
che l’immagine di Modena sia la più curata in quanto la giovane indossa
un’elegante collana e un raffinato bracciale non presente nelle altre. Inoltre,
da quanto ci appare nelle fotografie le altre immagini sono tagliate in basso e
ci presentano solo la parte destra più alta del parapetto, senza la lettera V,
presente nell’esemplare modenese.
In questa immagine
risalta la plasticità della figura, il virtuosismo del rendere la morbidezza
delle carni e la leggerezza dei preziosi tessuti, compresa la trasparenza del
velo e la fredda rigidità del marmo. Il tutto è espresso da un sostanziale bicromismo
che declina le sfumature del bianco e verde scuro appena arricchito dall’oro
dei discreti monili.
Il dipinto
ritrae una giovane e ricca donna il cui abbigliamento richiama la moda del
Cinquecento veneto, in esso risaltano, abbondantissime, le maniche bianche come
tutta la sopravveste che contrasta con la passamaneria verde scuro delle
rifiniture apposte sulle cuciture del corpetto e della cinta chiusa sul davanti
con un semplice fiocco.
L’ovale del
volto è incorniciato dai capelli biondi, mossi in morbide onde e trattenuti
dietro al capo, sulla destra appare un piccolo fiore tra i capelli.
La critica ha
avanzato due ipotesi: l’una ravvisa in essa Violante, la figlia di Palma il
Vecchio, bellissima donna che fu più volte ritratta dal Tiziano innamorato di
lei; l’altra preferisce riconoscervi l’allegoria della Verginità.
Propenderei
per questo secondo significato sia per le diverse copie che si conoscono e che
non appartenenti a Tiziano o a Palma, sia per la reiterazione di attributi che
rimandano alla virtù della verginità. Infatti la fanciulla indossa il cingolo
(chiamato anche zona) o cinta virginale indicata tra l’indice e il medio della
mano destra; uno smeraldo, cui si attribuiva il potere di cambiare colore in
presenza di infedeltà; una perla, simbolo di purezza; l’anello nell’anulare
della mano destra che Lomazzo nel suo “Trattato dell’arte della pittura” dice
essere il punto da cui parte la vena del cuore; l’abito ricco e bianco e il
fiore d’arancio dell’acconciatura che rimandano alla cerimonia sponsale.
Anche i
gioielli che la donna raffigurata indossa rimandano simbolicamente all’amore e
alla verginità: catena d’oro con una grande gemma verde (forse uno smeraldo di
cui si è detto), con su incisa probabilmente la figura di Eros, e una perla pendente;
un braccialetto in oro e smeraldi, l’anello all’anulare.
La gemma,
peculiare di questa copia del dipinto, potrebbe riferirsi ad una gemma antica,
come a quelle presenti nella Medagliere Estense. Su una di queste a forma
ellittica (Museo Medagliere Estense inv. 406), risalente al II-III secolo d.C.,
è inciso un amorino con armi. Si tratta
di un diaspro verde e chiazze di colore
rosso scuro chiamato diaspro sanguigno o eliotropio.
Il soggetto
inciso alludeva alla forza dell’amore, concetto che veniva rafforzato dalla
virtù propria dell’eliotropio che, secondo gli antichi romani, rendeva costanti
anche le persone più inquiete.
Come Cenerentola La verginità era una caratteristica fondamentale per poter ambire ad
un matrimonio importante. Cenerentola era assolutamente ingenua, sognatrice,
inesperta della vita mondana, non possedeva abiti adeguati alla presentazione
in pubblico, aveva piedi piccoli e proprio questi l’hanno resa unica nella
prova della scarpa.
Se il dipinto
rimanda, attraverso i simboli, alle regole di rappresentazione delle virtù
femminili richieste nella società rinascimentale, la fiaba si affida a simboli
meno espliciti ma ugualmente emblematici per evidenziare gli attributi
virginali richiesti dalla tradizione ad una giovane donna che deve essere data
in sposa. Gli attributi della Verginità, dopo il matrimonio, assumono il
significato di fedeltà al marito.
Prima parte: http://artendmore.blogspot.it/2013/05/cenerentola-alla-galleria-estense-1.html
Terza parte: http://artendmore.blogspot.it/2013/08/cenerentola-alla-galleria-estense-3-e.html
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Terza parte: http://artendmore.blogspot.it/2013/08/cenerentola-alla-galleria-estense-3-e.html
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