Non è casuale che dopo Il capolavoro di Van Eyck si tratti di quest'altra opera di Velazquez "La famiglia di Filippo IV" meglio conosciuto come "Las meninas".
Sicuramente Velazquez ha visto e ammirato il dipinto conosciuto come "i Coniugi Arnolfini" perchè faceva parte della collezione del re di Spagna fino all'inizio del XIX secolo. Quindi è altrettante certo che, da questo dipinto, ha preso l'idea di inserire nel quadro qualcuno che abita un altro spazio. Ma appunto perchè l'idea era già stata sfuttata da Van Eyck, Velazquez va oltre e quello che ci appare un semplice olio su tela diviene in realtà un meraviglioso gioco di scatole cinesi una raffinata meditazione sulla vita, sulla verità e sulla realtà.
In
questo capolavoro la riconoscibilità del ritratto dell'infanta
Margarita e della corte, si unisce al mistero che è sotteso
all'atteggiamento non formale e sorpreso dei personaggi raffigurati.
Nel dipinto, alcuni componenti della corte del re, riuniti in una
grande stanza (forse lo studio del pittore), assumono due diversi
atteggiamenti: una parte sta guardando qualcosa di curioso che
avviene proprio dove si trova lo spettatore, l'altra sta
tranquillamente "vivendo"...
L'Infanta
Margarita, tra due dame di compagnia -meninas in
spagnolo- (Doña María Augustina de
Sarmiento e doña Isabel
de Velasco), è al centro del dipinto, in piena luce; davanti
a lei, sulla destra, stanno due nani con un grosso cane; dietro,
nell'ombra, sono intenti a conversare Marcela de Ulloa e don Diego
Ruiz de Azcona, identificabili come
precettori dell'Infanta.
Sulla
parete di fondo si riflettono in uno specchio re Filippo IV e la
regina Marianna, i quali sembrano protetti
dal pittore Diego Velázquez e José Nieto
Velázquez (non è documentata alcuna parentela tra i
due), rispettivamente maresciallo di palazzo del re e
maresciallo di palazzo della regina.
Il
re e la regina nello specchio sono probabilmente il riflesso di parte
del dipinto che il pittore sta terminando, di cui si vede il
retro lungo il lato sinistro della tela. Tale riflesso è reso
possibile dall'inchino che compie doña María
Augustina, sacrificando la simmetria della composizione ai
lati dell'Infanta.
La
scena è molto informale, al punto da essere stata spesso paragonata
ad una fotografia istantanea: José Nieto
Velázquez sulla porta, è molto lontano ma, occupando proprio
il punto di fuga in un alone di luce, ci appare una figura di grande
importanza; il nano in primo piano sta stuzzicando il cane che dorme
beato. L'Infanta, che ha il volto girato verso destra ma guarda
diritto davanti a sé -come fosse stata distratta da un accadimento
improvviso- sta per prendere una brocchetta d'acqua che le porge la
sua menina; il pittore stesso,
allontanatosi dal dipinto, ha in mano la tavolozza e pennelli e
guarda verso di noi, come fanno altri personaggi. Ma dove è diretto
il loro sguardo e quello dello stesso Velázquez?
Probabilmente verso un altro specchio sul quale doveva
essere riflessa la figura di Margarita che sta per essere aggiunta
sulla tela accanto al ritratto dei genitori.
Attraverso
Las meninas Velázquez ha voluto
proporre una riflessione che, all'epoca, doveva essere palese e
condivisa, mentre oggi ci appare come un enigma. Forse la riflessione
verteva sulla ambiguità della rappresentazione in pittura. Per
questo Velàzquez inserisce, in uno spazio reale, personaggi veri e
figure riflesse perciò lo spazio reale è tutto delimitato da
diversi tipi di “porte”.
Sono
proprio queste “porte” che contribuiscono a rendere misterioso
questo capolavoro della pittura: la porta sul fondo incornicia una
persona vera, che si è affacciata per un momento e sta già
scomparendo; un'altra cornice -più spessa- delimita lo spazio dello
specchio e riflette i due reali, ci accorgiamo che non fa
differenza se questi siano riflessi in persona o se lo specchio
riproponga un loro ritratto. Sulle pareti ci sono molti quadri
incorniciati, uno dei quali è stato identificato come una copia di
Minerva e Aracne di Rubens. Anche questi sono aperture su
diverse realtà: sulla parete a sinistra i quadri sono molto
scorciati (le loro cornici costituiscono le ortogonali del dipinto),
nella parete di fondo misurano lo spazio, ma sono immersi
nell'oscurità, alla nostra sinistra non vediamo la cornice degli
infissi, ma intuiamo che ci sia la finestra, riquadro di pura luce.
La
luce è usata in maniera teatrale e, se da una parte contribuisce
all'ambiguità del reale, dall'altra è rivelatrice dei piccoli
inganni: in Las meninas la luce della porta dove compare José
Nieto è diversa dalla luce dello specchio su cui si riflettono i
genitori di Margarita.
L'idea
di immediatezza e di spontanea casualità è data anche dalla
molteplicità dei centri: l'Infanta è al centro della
larghezza del dipinto. Lo specchio è al centro della parete
di fondo. La porta illuminata costituisce il punto di fuga,
quindi il punto d'incontro delle ortogonali.
Questa
pluricentralità, che non percepiamo immediatamente,
costituisce l'ossatura portante dell'opera, attorno alla quale
Velázquez ha creato il resto: un corpo che
si sviluppa attorno e tende a chiudersi in se stesso, come
suggeriscono i quadri che avvolgono e limitano lo spazio fino a
sbarrarci quel varco sul quale, tradizionalmente, si affacciava
lo spettatore (quella parete che Giotto aveva abbattuto spalancando
la strada della pittura moderna).
Così
se dobbiamo entrare nell'idea del pittore, che qui è autenticamente
barocco per la straripante energia dinamica di sguardi, per lo
straordinario illusionismo spaziale, e la moltiplicazione dei "centri, dobbiamo pensare che davanti
all'Infanta, Velázquez abbia pensato che ci fosse
uno specchio che chiude coerentemente l'area del dipinto e
rende quello spazio dinamico, illusorio e chiuso in sé.
L'opera
è una profonda e moderna riflessione sulla pittura, sull'illusorietà
della vita e per questo il suo committente, re Filippo IV, la tenne
sempre nel suo studio privato. Guardandola poteva tornare in quella
dimensione privata attraverso il riflesso dello specchio e meditare,
perché quello spazio, pur essendo architettonicamente chiuso e
misurato, rimaneva aperto alla dimensione infinita della mente e
della riflessione. Qui la fugacità dell'immagine diviene metafora
dell'illusorietà della ricchezza, l'illusione della raffigurazione è
motivo di riflessione sul limite del potere, l'effimera durata della
vita è insita nella transitorietà del riflesso nello specchio che
ora c'è e poi non è più.
La
tecnica pittorica di Velázquez è molto
veloce, al punto che, se osservata nei particolari, non fa pensare ad
un disegno preparatorio. Le mani del pittore sono rimaste allo stato
di abbozzo, come se la sintesi dell'artista abbia inteso dare al
colore la paternità dell'opera. La stessa tonalità di marrone è
usata per il legno della tavolozza e per i capelli di Maria
Augustina; i medesimi bianco e arancione sono usati sia per l'impasto
di colore che per il fiocco dell'acconciatura della stessa damigella.
Vista da vicino, la pennellata produce un effetto non finito e
sgranato; ad una visione complessiva, però, l'opera assume un
aspetto morbido e sfumato.
Per approfondire e continuare a giocare con Velazquez puoi leggere:
Alessandro Nova ( a cura di ), La Meninas, Il Saggiatore.
Per approfondire e continuare a giocare con Velazquez puoi leggere:
Alessandro Nova ( a cura di ), La Meninas, Il Saggiatore.
E sperimentare 6 tesi diverse ma tutte straordinariamente convincenti
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