venerdì 10 gennaio 2014

L'inizio e la fine

Se si ha voglia di notarle, se fa piacere, se aiuta, nella vita ci sono tanti piccoli "segni" che giungono inaspettati e non voluti.
Cose che "capitano" e che, viste a posteriori, si possono interpretare come "segni"del destino che aiutano a capire, a collegare, ad aprire e a chiudere le vicende della vita, i periodi belli o meno... le nuove strade che si srotolano davanti ai nostri piedi e serrande che si chiudono pesanti, dietro o davanti a noi.
Sono "accidenti", si possono chiamare "casi", si possono considerare coincidenze. 
Non so come interpretarli: so che da sempre ci sono e mi piace notarli a posteriori.
Nella mia vita si è chiuso un lungo periodo -la vita matrimoniale- e per un puro caso, appunto, si è chiuso dopo un breve soggiorno a Treviso, che per me è, da sempre, la città di Tomaso Barisini detto da Modena (1325\66- 1368\78)
Questo lungo periodo iniziò più di 21 anni fa: poche settimane dopo la restituzione alla mia città di un importante affresco dello stesso pittore, mio antico concittadino.
La Madonna del Carmelo o del latte, conservato nella chiesa di San Biagio, ripulito da una ridipintura ottocentesca, mi aveva incantato al punto da trasformare quell'"antica novità" nel ricordo del matrimonio (la così-detta bomboniera) e nell'immagine che, come da tradizione, campeggia sul letto matrimoniale.
Tomaso da Modena, è divenuto d'allora tra i miei pittori più amati, soprattutto come pittore di Madonne.

Le Madonne di Tomaso continuano la lezione di Giotto: sono donne che hanno a che fare con la vita, sono materiali, hanno volti ben torniti e corpi robusti, tengono in braccio bambini vivaci, cicciotti, intenti ad azioni riconoscibili.
Al tempo stesso però, il pittore del Trecento modenese, riesce a mantenere la  bellezza ideale delle icone bizantine: negli eleganti occhi a mandorla, nelle lunghe dita affusolate, nella collocazione del seno -incoerente con la anatomia e pur turgido di latte- nella pesantezza degli abiti che tentano -invano- di negare le forme, il corpo, la sostanza della donna Maria.

La poesia di Tomaso sta nel compromesso tra l'umanità di Maria e la sua idea astratta di "piena di grazia", "prescelta tra le donne", e quindi la rappresentazione mariana si colloca tra la pittura dell'immedesimazione e quella dell'ascesi e purificazione. 
Qui Tomaso mostra l'ideale perfetto di donna che attraverso l'idealizzazione della Madre di Dio, riesce ad intonare un canto d'amore ad una donna vera e riconoscibile.
Cosicché, quella mandorla iridescente, così arcaica, rigida, incoerente, diviene un omaggio alla bellezza attraverso i preziosi, sgargianti colori.
Questa è la cifra stilistico-iconografica che caratterizza gli ultimi anni del pittore- l'affresco è datato alla fine della vita del pittore, addirittura nel 1370- 

Le prime rappresentazioni mariane di Tomaso risentono dell'opera di Vitale da Bologna, ma ci comunicano un'originale capacità di trasmettere l'umanità che stupisce anche l'osservatore contemporaneo.

In particolare nell'altarolo della Pinacoteca Nazionale di Bologna presenta un'iconografia davvero rara: la rappresentazione di Maria è triplicata occupando l'intera fascia centrale.
Nel timpano, l'Ultima Cena è sormontata da Cristo benedicente e dall'Annunciazione, mentre  nella fascia inferiore le quattro sante, Anastasia, Lucia, Agnese e Caterina, ci fanno pensare ad una destinazione femminile molto colta - un monastero?-
 La triplice rappresentazione di Maria col bambino, purtroppo mancante di parte della superficie pittorica, è spartita da arcate gotiche trilobate poggianti su eleganti colonnine tortili. 
Maria in Maestà, quindi in trono, è "contraddetta" dal fatto che questa non sia stante, ma in azione: le sue attività  sarebbero più adatte ad un'altra iconografia molto presente all'epoca, la "Madonna dell'umiltà" (Maria seduta su un cuscino appoggiato a terra).
La Maestà è però coerente al fondo oro che eterna il concetto della maternità e lo estende ai cristiani, che sono figli di Dio, come Cristo, per mezzo del sacramento del battesimo.
Quindi che senso hanno quelle mansioni o azioni, così quotidiane, poco eterne o astratte, e quale senso acquista la triplicazione, se il fondo d'oro ha la funzione di togliere le dimensioni terrene del tempo e dello spazio?

La rappresentazione centrale è quella della Galaktotropousa cioè colei che nutre col latte, un'iconografia bizantina che qui  -come nel più tardo affresco di Modena- è mantenuta rigorosamente -anche nel gesto tenero del bambino e lo sguardo serio di Maria- L'atteggiamento della Madre pare indurre il fedele a pensare alla futura passione del Figlio di Dio.

A sinistra Maria non ha il  Bambino ma il Libro, Il codex aperto non ha un senso proprio quanto invece simbolico: è la promessa, l'alleanza di Dio che si realizza in Maria. La Parola  che, incarnandosi, darà il via alla "nuova ed eterna alleanza". che avrà pieno compimento con la morte e risurrezione di Cristo. Maria non legge, Maria è il mezzo attraverso la quale le Scritture si rivelano. 

A destra Maria col Bambino confeziona una camicia. Come nella Glaktotrophousa, in questa rappresentazione, scatta più efficacemente l'immedesimazione della fedele, L'abitino rimanda all'episodio della passione narrato dai Vangeli in cui i soldati non vollero dividersi la veste di Cristo.

Ecco dunque che la scelta di triplicare la rappresentazione ha la funzione di meditare e riflettere sull'incarnazione e la passione di Cristo e al tempo stesso sull'atteggiamento di immedesimazione improntato alla meditazione continua, anche nelle occupazioni quotidiane.

Sarebbe azzardato, ma suggestivo, trovare un legame con la Trinità che tuttavia non mi pare di poter vedere completamente. 





1 commento:

  1. domani andrò a rivederlo in Pinacoteca con il tuo post sotto gli occhi: credo che assumerà tutt'altro significato!

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