Attraverso l’arte
dell’Ottocento è documentabile la politica coloniale, lo scambio commerciale
tra Europa ed Africa ma anche una delle più atroci piaghe dell’umanità: la
tratta degli schiavi.
La Zattera della Medusa è uno dei dipinti più famosi del Romanticismo
francese, esso documenta il passaggio dalla pittura di tema storico (Neoclassicismo) a quella di attualità con carattere di denuncia.
Gericault costruisce
un dipinto di grandi dimensioni per descrivere un drammatico fatto di cronaca che aveva sconvolto l’opinione pubblica.
Era la prima volta
che le grandi tele venivano utilizzate per rappresentare un tema diverso dalla
religione o dai temi antichi (storia e mitologia classica) per rivolgersi a
tutti con la pregnanza del dramma e della denuncia dell’iniquità.
I fatti
Nel 1816 la fregata Medusa salpa dalle coste francesi sull’Atlantico diretta in
Senegal, per controllare il passaggio della colonia dall’Inghilterra alla
Francia come previsto dal trattato di Parigi.
Al largo della
Mauritania la nave Medusa si incaglia e, impossibilitata proseguire, si iniziano
le manovre di salvataggio dei numerosi imbarcati che non stanno nelle poche scialuppe
di salvataggio. Alle scialuppe viene dunque agganciata una grande zattera che
ben presto si sgancia e viene abbandonata alla deriva.
Per più di venti
giorni i quasi 150 naufraghi,
abbandonati a se stessi, lottarono per la sopravvivenza. Molti morirono di sete e di fame, alcuni si
uccisero e ci furono tragici episodi di cannibalismo.
La responsabilità fu data al capitano,
nobile francese reduce dell’esercito ma incapace di governare una nave e di
leggere le carte nautiche. Lo sgomento in Francia fu immenso per i ritardi dei
soccorsi, l’inettitudine del capitano, che per essere stato eletto dal re,
trascinò la neo-restaurata monarchia nello scandalo.
L’opera
Gericault decide di
rappresentare il momento del massimo
pathos immaginando che i superstiti abbiano avvistato la nave prima del
salvataggio.
La nave Argo è un
punto –lontano come la speranza- appena percepibile all’orizzonte
mentre, sotto ai nostri occhi si compie lo scempio: esseri che perdono le loro caratteristiche
umane per la morte, per gli stenti, a causa della perdita dei congiunti perché
stanno azzannando i loro simili. Solo più oltre l’umanità reale volge la
schiena a tanta efferatezza e si getta tutta in quella lontana e inafferrabile
nave in lontananza.
Le vele di fortuna
sono gonfie di vento e indicano chiaramente che non è ancora il tempo della salvezza, un cielo oscuro ci comunica
che altre persone perderanno la vita quando la nave Argo arriverà finalmente a
portare in salvo i pochissimi superstiti.
Se la vicenda è
reale e attuale non così lo stile di
Gericault che risente della grandezza
eroica michelangiolesca nella rappresentazione dei naufraghi.
Immagina che i superstiti
siano eroi che si siano trovati a combattere il male (una visione dell’umanità
per questo verso simile a quella michelangiolesca). Per accentuare ciò cita
alcune opere famose come il
Laocoonte nel padre che piange il giovane figlio e il Cristo morto della Pietà
di Michelangelo o della Deposizione di Caravaggio. Nell’esaltazione dell’uomo, proprio nel momento in cui la sua piccolezza si manifesta, sta la grandezza di
questo dipinto che fu sicuramente visto da Turner infatti fu esposto a Londra
dove ebbe immenso successo.
Ne La
nave negriera, Turner documenta
un momento tragico della storia britannica: l’epilogo della drammatica storia
della schiavitù.
In particolare, il periodo di transizione tra
l’approvazione della legge di abolizione della schiavitù (1833) e la sua abolizione
vera e propria (1838) fu particolarmente ricco di episodi controversi. Questi 5
anni dovevano servire per regolarizzare le posizioni di schiavi e schiavisti.
Furono invece occasione di abusi che causarono numerosi episodi drammatici che
si accompagnarono alle campagne antischiaviste.
Turner rappresenta, in chiave abolizionista, due episodi che documentano il dramma
della deportazione degli africani.
I fatti
Il primo evento
aveva sconvolto a tal punto l’opinione pubblica da dare il via alla campagna
contro la tratta degli schiavi: nel 1781
il capitano della nave negriera Zong, per farsi ripagare dall’assicurazione un carico di schiavi malaticci, aveva gettato i mare 132 africani, vivi
e ancora incatenati ai ceppi, nelle acque infestate dagli squali dei Caraibi.
Infatti i carichi erano assicurati come “carichi vivi” e arrivare a
destinazione con gli africani morti non avrebbe consentito nessun risarcimento,
invece era previsto il pagamento delle
“perdite in mare”. Quando l’assicurazione londinese si rifiutò di pagare,
il drammatico ecciddio divenne di dominio pubblico con tutti i suoi risvolti
incredibili.
Un secondo motivo di ispirazione fu uno scandalo che riguardava la caccia scatenata alle navi negriere da parte dell’African Squadron (flottiglia
africana della “marina britannica”) che doveva vigilare sulle navi che
lasciavano la costa africana affinché non deportassero nuovi carichi umani. Questo
sistema di protezione e vigilanza, per come era organizzato, provocava tragedie
inimmaginabili: quando i capitani delle navi, che avevano caricato di
nascosto gli schiavi, vedevano avvicinarsi le African Squadron, facevano gettavare i neri in mare determinandone
quasi sempre l’annegamento. Addirittura si venne a sapere che alcuni capitani delle stesse African Squadron,
considerando che venivano pagati solo in base al numero degli schiavi ripescati
dal mare, attendevano ad assaltare le
navi schiaviste al largo, evitando di fermarle e perquisirle al porto.
L’opera
Per accostarsi a
questa opera è fondamentale partire dal fatto che Turner non è interessato a raccontare una storia fatta di luoghi,
persone e momenti. Infatti pur recependo la novità del Romanticismo che punta
l’attenzione all’attualità, non è l’interesse cronachistico o di denuncia
quello che guida il pennello di Turner, ma quello di trasmettere l’emozione del sublime: momento di
somma relazione tra la Natura e l’uomo.
In uno strepitoso tramonto infuocato una nave affronta la tempesta. Tra le onde
spumose di un inverosimile colore limaccioso emergono ceppi, brandelli umani e
d’arredo, indistinti. L’intento è quello
di trasmettere l’orrore di quella atroce visione che trasmette la cruda realtà
in una sorta mal di mare da tempesta, perché lo spettatore è strappato alla
quiete dell’osservazione e trascinato in mezzo ai flutti tempestoso.
Il
tramonto diviene anch’esso lo spettro agghiacciante che, se da una parte
sublima l’azione ignominiosa di schiavisti e antischiavisti, dall’altra
prospetta la fine dell’umana pietà.
Dedicato a Sandy Codo perchè la vita è una lotta.
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