giovedì 14 marzo 2013

Vedere con le mani

Un ottimo post di "senza dedica" 
http://senzadedica.blogspot.it/2013/03/il-miglior-affare-di-jacopo-strada.html 
mi ha ricordato che avevo scritto questa cosa

La seconda parte della vita artistica di Rembrandt (di cui ho parlato in diversi post) ebbe inizio nel giugno 1642 con il tragico evento della morte della prima moglie Saskia, amatissima musa e compagna del pittore. Il tracollo, che iniziò quel giorno, riguardò la sua posizione sociale e la sua fortuna economica, lo portarono a dichiarare la bancarotta nel 1656 e continuò progressivamente fino al giorno della sua morte che lo colse in una condizione di assoluta indigenza e di completo abbandono.
Rembrandt, Autoritratto, 1655, olio 
si tela, 49,2x41, Vienna,
 Kunsthistorisches museum
Artisticamente questo secondo periodo si caratterizzò per uno stile personalissimo, libero da qualsiasi influenza stilistica; nelle tematiche che affrontò, Rembrandt continuò ad essere interprete della sua terra: ad esaltare le merci dei mercanti, che continuarono ad essere i suoi potenziali committenti, e ad illustrare la Bibbia che i calvinisti leggevano e interpretavano autonomamente. Le committenze si fecero più rare ma, nonostante ciò, Rembrandt appareva chiuso in se stesso e nulla faceva per farsi appezzare o per guadagnarsi lsimparia dei ricchi mercanti. Al contario: apparve sempre più concentrato nella sua incredibile ansia di "ricerca e di nuovo" (che erano caratteri del tutto sconosciuti al tempo) e convinto nel suo linguaggio controcorrente. 
Nell’Autoritratto del 1655 Rembrandt si ritrae con una grande precisione e non esita a riprodurre, oltre al suo naso “a patata”, ogni ruga e tutte le imperfezioni della pelle; abbandonato il ricco abbigliamento e gli accessori con cui si era ritratto nei tempi migliori, non ricorre nemmeno alla allegoria e non accenna nemmeno alla bellezza ideale di ascendenza classica,  quindi esclude qualsiasi forma di celebrazione, anche solo nella posa. Tuttavia emerge dal suo sguardo la dignità consapevole che il dipinto, anche in questa forma scarna, sia reale conoscenza: Rembrandt ci appare fiero della sua pittura. E basta! Non c’è  ricchezza, non ci sono riferimenti culturali: egli intende unicamente riprodurre se stesso senz'altra mediazioni che non sia il colore.
Rembrandt, Aristotele contempla il busto di Omero, 
1653, olio su tela,  143,5 x 136,5,  
New York, Metropolitan Museum of art
Quando l’italiano il collezionista don Antonio Ruffo commissionò  a Rembrandt un quadro forse non fornì ulteriori precisazioni sul soggetto  forse lo fece e Rembrandt non , come faceva sovente non le considerò. Di fatto Aristotele che contempla il busto di Omero  non lo accontentò: sarebbe aspettato più enfasi per la raffigurazione della “storia” mentre nel dipinto finito i personaggi escono dall'ombra come materia ancora grezza. Rembrandt utilizza il soggetto come pretesto per proporre una riflessione stilistica sulla percezione della pittura, ma non era materia che potesse interessare don Ruffo il quale, scontento, non pagò l’opera.
La pittura fiamminga ed olandese si è sempre distinta per la capacità di riprodurre magistralmente le trame del materiale raffigurato, soprattutto attraverso la tecnica della velatura, esaltando cioè il senso della vista. Rembrandt, al contrario, esalta la materia raffigurata dando all'immagine la consistenza tattile del grumo di colore -spesso lavorato col manico del pennello o con le dita- che rimane sporgente e “non meglio definito” nei particolari. Se osserviamo la lunga catena al collo di Aristotele -con l'effige di Alessandro Magno nella medaglia- percepiamo sicuramente la lucente pesantezza dell’oro, la sua metallica consistenza che viene amplificata dalla grande mano del filosofo che la tocca. La percezione tattile è infatti sottolineata dalle proporzioni non reali delle mani: queste anche in altre opere di Rembrandt, sono grandi mani che toccano, quasi che la conoscenza abbia bisogno di questo altro senso per essere più vera.


(tratto dal mio scritto per "Primi piani", 4 volume, Archimede edizioni)



6 commenti:

  1. Interessante il concetto di vedere con le mani e la conoscenza a volte passa anche da lì e volte pure dal naso. Brava prof!

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    1. La tattilità di Rembrandt è legata alla consapevolezza di utilizzare quella pittura materica che si rivedrà, direi con Van Gogh, il quale aveva una consapevolezza però tutta diversa. la capacità speculativa e raffinata di Rembrandt, che completa la matericità pittorica con il tema del tatto, non mi pare sia paragonabile con l'istintività ingenua e potente dello sfortunato Vincent.Grazie cara Barbara, saluta Sagomina!

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  2. anche per me vale l'opzione errori e nonsense? perché io sono un asso in questo gioco...

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    1. vale per tutti: di solito bastano due cose, rileggere prima di pubblicare (per me non basta questo, perchè, noi dislessici, siamo molto speciali) e lettori intelligenti ed educati. come i miei!

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  3. Bellissimo quello che scrivi sulla verità di Rembrandt:" non c'è ricchezza, non ci sono riferimenti culturali:egli intende unicamente riprodurre se stesso senza altra mediazione che non sia il colore"! Quanto è lontano dalla posa"accomodata" dei dipinti di Tiziano in cui il colore serve a dare verità ai segni di uno stato sociale e di un ruolo.
    Grazie ancora per quello che ci fai condividere!

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    1. Però mi pare che Jacopo Strada e Aristotele siano molto vicini. Non ci sono naturalmente dipendenze dirette ma ci sono suggestioni culturali, esigenze di pubblico, ambienti che hanno procurato vicinanze, pur nella lontananza geografica e spaziale. Sono io che ringrazio te.

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