sabato 9 febbraio 2013

Nozze d'oro a Modena


50 anniversario  di
Matrimonio di
mamma e papà
10 febbraio 2013

L’anniversario non è la misura del tempo passato.
E’ un tempo pieno:
un foglio scritto, una tela dipinta, un giardino fiorito,
un albero pieno di frutti,
una casa abitata, un libro letto.
Il tempo non passa invano:
lascia il suo segno e non per caso.
L’anniversario di matrimonio:
è una musica suonata in due,
un canto a due voci …
Non ci sono parole che possono descrivere
cinquanta anni di vita insieme o i loro frutti.
I frutti non sono solo questi che vediamo qui:
sono sparsi nello spazio e nel tempo,
all’infinito.

Il ricordo di questo giorno è affidato ad un oggetto quotidiano, lo specchio, che assomma in sé molti significati.
Uno specchio per noi - figli e nipoti - per trovare la nostra provenienza, per pensare che siamo frutti, semi…
Uno specchio della realtà: non siamo copie, prodotti in serie, ma siamo vite, esseri in evoluzione, in movimento; non siamo mai quelli che eravamo ieri e domani avremo qualcosa di diverso dall’oggi.

Uno specchio perché siamo vivi e originali, ciascuno con capacità e caratteri diversi: perché abbiamo ricevuto in dono la vita e la libertà. Il vivere insieme è una esperienza di libertà.
Lo specchio per riflettere sulla nostra provenienza.
Ci si guarda allo specchio per prepararsi ad uscire e affrontare la vita, il domani.
Gli specchi sembrano uguali, in realtà riflettono persone e pensieri diversi. Ognuno è originale e simile come le persone che condividono tanto, ma rimangono uniche. Infine uno specchio per augurare a tutti quanti di camminare nella vita con un po’ di leggerezza:
quella che rende la vita più felice e dolce.


Immagini che accompagnano lungo il cammino della vita.

Essere una famiglia significa avere un bagaglio di cose in comune: vissuti, comportamenti, storie, valori, immagini che influenzano il modo di guardare la realtà intorno.

Annibale Carracci, Il mangiafagioli, 1583, Roma, Galleria Colonna



Questo dipinto è stato fatto a Bologna ed è uno dei primi dipinti di “genere” italiani. Dipinto di genere è una tipologia di pittura che rappresenta persone intente in attività quotidiane, non sono ritratti e non veicolano particolari messaggi. Spesso sono utilizzati per dar prova di talento e capacità pittoriche come rivela il bicchiere di vino, del tutto estraneo alla semplicità della mensa e alle possibilità di un contadino della fine del XVI secolo.
Quando Annibale realizzò uno dei suoi primi dipinti ispirati al vero, senza idealizzazioni, rappresenta un contadino vestito a festa, come ci dice a camicia bianca, che consuma il suo pasto avidamente senza essersi prima tolto il cappello. Sulla tovaglia bianca ci sono cibi semplici, che oggi definiremmo genuini, e la mano sinistra del contadino tiene stretto il pane mentre con la destra porta alla bocca il cucchiaio pieno di fagioli.
Non ho mai guardato questo dipinto senza pensare al nonno Attilio e alla nonna che gli toglieva il cappello mentre era già seduto a tavola

Licia Tonelli, Nonna Augusta, fine anni 80 del XX secolo, fotografia a colori, coll. priv.

In un angolo della vita di ognuno di noi c’è un patrimonio comune fatto di gesti, colori, sapori, i suoni del dialetto, gli odori delle feste in campagna, il fresco delle estati a Savignano.


Questa fotografia esprime con molta eloquenza la personalità della nonna Augusta che emerge senza parole.
L’immagine ci dice che amava i colori vivaci, che possedeva un suo personale senso di ordine e ricercatezza che non l’abbandonava mai; nemmeno per accudire gli animali o per lavorare nell’orto tralasciava di mettere gli orecchini o di abbinare i colori degli abiti in quel suo modo fantasioso. Ad uno sguardo affrettato il suo stile potrebbe sembrare stravagante, ma è il gusto di chi continua a guardare con stupore gli sgargianti -mai stridenti- spettacoli della natura.
Il volto della nonna era una dedalo infinito di rughe, rese ancora più evidenti dalla pelle abbronzata dal lavoro all’aria aperta. Questo viso pare essere della stessa natura della “casa vecchia” sullo sfondo, caratterizzata anch’essa dalle linee irregolari delle file dei mattoni e dalle crepe.
Questa simbiosi tra la nonna e il luogo che abitava ben rappresenta la percezione che noi nipoti, da bambini, avevamo: non distinguevamo la casa in campagna dalla nonna, come se non la si potesse trovare altrove. Il suo profilo, che guarda in alto, come a interrogare il cielo, pare la preghiera di chi, sapendo cosa deve cercare, individua e interpreta le volontà che non si possono cambiare.
Questa immagine è perfetta anche per l’equilibrio delle ombre e delle linee: la curva verso l’alto del capo che viene ripresa dall’arco del forno e quella, in profondità, della spalla è bilanciata da quella opposta delle scale a sinistra.
Un capolavoro dunque, sia essa frutto di una felice intuizione o di una fortunata coincidenza.


Immagini sul tempo che scorre lungo il cammino della vita

Assieme alla vita, il tempo è un dono da condividere: il tempo che passa è foriero di doni e di lutti. Ogni giorno è denso di promesse e, forse la più ambita, è la saggezza che consiste nel saper dare il giusto peso alle vicende del cammino. La saggezza per vincere le avversità

Girolamo Forabosco (1605-1679), La morte e la fanciulla, seconda metà del XVII secolo, olio su tela, Dresda, Gemäldegalerie alte meister, Staatliche Kunstsammlungen.



Il dipinto proviene dalla Collezione Estense ed è stata venduta, con altre 99 opere, al principe elettore di Sassonia e re di Polonia, Augusto III.
La tela rappresenta una fanciulla con il capo ornato di fiori che è presa di spalle da una mano scheletrica.
L'opera è chiaramente l'allegoria del tempo e della giovinezza che, pur procedendo velocemente, è presa dalla morte all'improvviso. Appena sentito il tocco la ragazza gira la testa, spaventata, ma non pare rassegnata a consegnarsi alla morte, infatti le braccia proiettate in avanti, ci fanno pensare alla sua fuga che è la voglia di vivere che accompagna ciascun uomo.
Eppure la salvezza sarà solo una fugace illusione, gli effetti della fine sono già presenti sui fiori che appaiono scomposti e avvizziti.
È un dipinto moralizzante che allude alla caducità della bellezza e delle fugaci lusinghe materiali e spinge a meditare sui beni eterni e salvifici.


Pietro Muttolo (della Vecchia), Le tre parche con il teschio, 1625, olio su tela, Modena, Galleria Estense (deposito)

L’eterno ciclo delle stagioni, l’eterno ciclo della vita: è doloroso lasciare i nostri cari, ma in fondo, siamo seme, siamo frutto, portiamo avanti promesse antiche, le rinnoviamo con la speranza di lasciare altri semi e altri frutti.



L'iconografia di questa tela di Pietro Muttolo è dubbia tanto che il dipinto è conosciuto anche con un titolo puramente descrittivo: tre vecchie con il teschio.
Il pittore conosciuto come Pietro della Vecchia o come Pietro Muttolo (anche se ultimamente questo secondo nome è stato messo in discussione) proviene da Venezia dove si è formato ed è caratterizzato principalmente da una originale capacità di riproporre l'eredità della
pittura del Giorgione. Le tre vecchie sono proposte in un primo piano impietoso, che ben coglie la deformazione dei volti, mentre sono intente ad intrecciare le loro mani e ad unire gli indici come stessero giurando o sancendo un patto sopra ad un teschio. Contrariamente al solito le tre donne non hanno gli attrezzi che servono a filare e l'idea della morte appare molto più evidente rispetto alla rappresentazione della vita.
Tuttavia la scena non è del tutto drammatica in quanto è ravvivata dalla luce morbida e dai colori caldi delle vesti, smorzati solo dalle tele grezze dei copricapi che erano, in questa foggia, obbligo per le serve.
Sicuramente la mancanza di identificazione delle tre donne, il loro numero e la presenza del teschio non bastano ad identificarle come le parche, anche se i loro gesti potrebbero indicare la conta degli anni ormai compiuti. Inoltre il teschio potrebbe far pensare ad un memento mori ma solitamente questo non si accompagna a figure mitologiche, ma piuttosto a sante penitenti.

Immagini sulle scelte della vita

Dopo la vita e il tempo, come terzo elemento individuerei la libertà: il modo di interpretare con la vita, il pezzetto di tempo che ci è dato.

Girolamo Sellari detto Da Carpi, L’Occasione e il Pentimento, 1541, olio su tela, Galleria Estense.

Il dipinto (interpretato anche come Caso e la Pazienza) ci è pervenuto in due esemplari, uno dei quali è a Dresda.
Questo facevano parte della decorazione della Camera della Pazienza, nel castello di Ferrara, voluta dal duca Ercole II d’Este per celebrare la sua impresa.
Le due figure allegoriche rappresentano l’Occasione e la Penitenza
L’Occasione ha i piedi alati ed è in equilibrio sul globo che percorre pericolosamente il ciglio di un burrone sotto al quale s’intravvede,
lontano un castello. I suoi capelli sono curiosamente senza peso, non ricadono all’indietro, ma sventolano alti sul capo, nulla resta dietro alla mobile Occasione e nulla le impedisce di avanzare: in mano ha il rasoio per tagliare gli impedimenti.
Il confronto tra l’Occasione e il pentimento è reso bene dall’incontro dei piedi e dei panneggi: il biondo ragazzo fatica a stare in equilibrio sulle punte dei piedi, le sue corte vesti son leggere e mosse come se stesse saltellando; la donna è interamente coperta da pesanti vesti che cadono molli fino a terra dove appoggiano saldamente i piedi che prendono la direzione contraria a quella dell’Occasione.
D’altra parte l’immagine si presta anche ad essere interpretata in maniera contraria in quanto la donna che guarda dietro all’Occasione (perduta) è il Pentimento del pavido che non ha avuto il coraggio o la capacità di cogliere e perseguire l’”occasione”.

Camillo Filippi, La Pazienza, 1545, olio su tela, Modena, Galleria Estense.

La donna raffigurata appare sullo sfondo di una parete rocciosa, ha vesti colorate e abbondanti tuttavia non la coprono interamente il busto infatti è nudo e il seno è coperto dalle le mani incrociate. La lunga veste è aperta ad arte per fare vedere la gamba sinistra che è imprigionata da una catena grossa di ferro.
La posizione frontale e statica è coerente col viso sereno, ruotato verso sinistra. Lo sguardo è ben fisso verso il basso, sulla catena che la imprigiona alla roccia. A fianco
della donna sta un vaso, decorato con maschere scolpite, dal quale esce una goccia.
La Pazienza attende immobile che la goccia logori la catena restituendole la libertà.
L’allegoria è accompagnata dal motto: “SUPERANDA OMNIS FORTUNA” e questo ci riporta alla sua destinazione, la stanza della Pazienza nel castello di Ferrara, e al suo committente, Ercole II.
La pazienza è, per il duca Ercole II, il modo migliore per avere la meglio sulle vicende della sorte.


Per un futuro leggero: domani

Un sorriso per concludere

Abramo Zanasi, Giovanni e il gatto egizio, 2012, immagine digitale, coll. priv. (reperibile in rete)

L’immagine riprende un fatto particolare successo quest’estate, durante la visita di un museo a Berlino. In una sala abbiamo potuto assistere ad una scena originale: Giovanni chiuso in una teca di cristallo trasparente. Evidentemente sgomento e quasi spaventato appiattisce la sua guancia contro il vetro. Un gatto che passava di lì, stupito da quella visione rimane impietrito, ma come è nella natura felina, non solo non dimostra l’interesse reale per quella visione straordinaria, ma ostenta totale indifferenza. Un reperto straordinario nella teca, un osservatore d’eccezione nella sala del museo. 
Quando due realtà s’incontrano qualcosa succede, a volte non è esattamente quello che avremmo previsto.

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