Hans Baldung Grien, Le tre grazie,
1541-44, olio su tavola, cm 151 x 61, Madrid, Museo del Prado
Hans Baldung Grien, Le età della donna e la morte, 1541-44, olio su tavola, cm 151 x
61, Madrid, Museo del Prado
Le età della donna e la morte appartiene
all'ultimo periodo della vita del pittore. È stato concepito con un suo gemello
che è la raffigurazione delle Tre Grazie.
Dalla visione delle due tavole affiancate si ha il giusto punto di
vista per la lettura che, secondo la visione che Grien ha della vita, piuttosto
severa e oscura, assume un aspetto davvero diverso rispetto alla visione che
questa iconografia ha in Italia (vedi La Primavera di Botticelli).

La giovane a sinistra sta leggendo un libro che la sua vicina regge
con la mano destra. Un serpente intorno al tronco di un albero pare insidiarle.
Gli sguardi delle tre giovani spaziano in direzioni diverse. Il paesaggio
allude ad una stagione primaverile, come si evince dal sole, dagli alberi
frondosi e verdi e dai fiori.
La rappresentazione allude al piacere delle arti: particolarmente
della musica cui si riferiscono lo spartito, gli strumenti musicali e il cigno
(schwan in tedesco. Per la sua radice
etimologica deriva dalla stessa radice da cui è derivato il verbo latino cano, in italiano cantare).
Per il suo colore e la
collocazione, vicino ai bambini, il cigno assomma anche il significato di purezza,
confermata dalla simbologia della perla, così insistita, che vela la scena di
un’aura di castità, innocenza e purezza. Così il serpente assume il valore di
possibilità di seduzione al peccato che le grazie per il momento, non colgono.

La Morte, tenuta a
braccetto come si fa con gli alleati e i complici,
è concentrata solo sul tempo che misura con una clessidra e con un quadrante
solare. Nella mano sinistra tiene una lancia spezzata, la cui punta metallica è
sotto la mano di un bimbo che, steso per terra e abbandonato, è in una posa del
tutto innaturale, forse morto. Il gufo, animale notturno e presagio di morte,
lo farebbe pensare.
Anche il paesaggio spoglio contrasta chiaramente con la tavola
”gemella”: lì era rigoglioso, qui apparentemente è un paesaggio arido. Non è
l’aridità della stagione invernale che assicura riposo alla terra, l’arsura
pare causata dalla guerra.
Lo sparuto gruppo di cavalieri che si scorgono lontano ha portato la
guerra e con essa carestia ed epidemie
da cui deriverebbe la morte del piccolo. Egli non sarebbe morto per “lo
scadere del tempo” ma per mano di quella morte prematura che rapisce senza
ragione. (Dante direbbe com’altrui
piacque)
La vecchia e la Morte sono stati pensati da Grien in un modo curioso
perché, se si osserva bene, risulta chiaro che il ragionamento che il pittore
ha fatto è quello della sottrazione: dalle Grazie alla morte, Grien ha
sottratto i panneggi, i gioielli, il sorriso, il candore. Ed è come se lo
sguardo dell’osservatore assistesse al cadere, a poco a poco ma
inesorabilmente, tutti gli attributi che hanno fatto del luogo ameno delle Grazie
uno sterile scenario di morte. Così quello che rimane, rispecchiato anche dal
turbamento nello sguardo, è la raffigurazione della Morte, terribile nella sua
scheletricità e animalità caprina. Essa ha sottratto alla donna la capacità
relazionale che le Grazie mostravano cercando sguardi altri e protendendosi
verso altre storie, come si deduce dalla presenza del libro; ha sottratto, con
il bambino dormiente, l’idea della procreazione e della trasmissione di
memorie; ha sottratto la capacità di esercitare la nobile arte della musica, la
più alta espressione dell'uomo in quanto diletta educando i sensi e
l’intelletto.
Bello il commento, come sempre. Suggestiva ( e malinconica) l'idea della vecchiaia e della morte come sottrazione; davvero nordica l'atmosfera del dipinto, in contrasto con la visione mediterranea ( nel senso anche dell'eredità del paganesimo) della vita nei nostri dipinti rinascimentali.
RispondiEliminaquesti dipinti, ricordo di 2 anni fa, mi lasciarono attonita e sospesa incerta nel gioco che conduco con colleghi e studenti nell'indovinare le iconografie. Se avessi seguito l'itinerario solito del Prado, allora non le avrei nemmeno notate, perchè dopo Bosh, l'estroso Grien è quasi banale, ma in quel caso mi ci trovai a ridosso con ancora Adamo ed Eva di Durer appena restaurati, negli occhi. Di fatto mi rimasero impresse queste fanciulle con la posa rigida, ma addolcita nella carne, dall'aria sospettosa e furono al centro, una volta tornati, di qualche discorso, di una mostra, e , temo, di qualche votaccio...
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