Sono molti i meriti del libretto (piccolo nella dimensione, sempre gradevole ed elegante come edita Sellerio) di Francesco M. Cataluccio Memorie degli Uffizi.
Il suo primo merito sta proprio nella veste grafica: esce dal coro degli abbaglianti tomi illustrati dei vip dell'arte (quelli che pubblicano continuamente opere divulgative sono solo tre: Sgarbi, Caroli e Daverio) che -con esiti molto diversi- sollecitano più il mercato dell'arte (e i mercanti) che la sua autentica conoscenza.
Si tratta di un libretto dunque, non di un tomo pretenzioso; è fatto per la lettura, non per la libreria o per un regalo chiassoso, Senza illustrazioni... finalmente- in realtà ci sono ma sono del tutto accessorie: nel contemporaneo schiamazzo di immagini, l'ekfrasis è benvenuta, tanto più qui dove, mi pare, si mostra coerente con il titolo e con l'obiettivo del racconto. Le memorie sono evocazione di dipinti -non ricordi nitidi e immediati- e questo porta a suscitare la voglia di andare, di cercare, di vedere. Infatti il cuore dello scritto è appunto la frequentazione quotidiana con l'arte non con le perfette riproduzioni delle opere.

"La mamma provava una particolare affezione anche per il bellissimo Pallade e Centauro(1482ca), e sosteneva che avrebbe dovuto comportarsi anche lei così col babbo, se lui non fosse stato completamente pelato all'età di vent'anni...." ( p. 66) Tutto questo rifugge la banalità, il luogo comune, ma converge sempre verso l'approfondimento dell'opera che è conosciuta, indagata e meditata. la visita agli Uffizi è sempre in bilico e incerta, una ricerca dell'impossibile equilibrio tra la velocità con cui scivola lo sguardo sui capolavori (speco insopportabile), per indugiare con lentezza su altri, prescelti in quel momento( lusso sublime)
La lentezza dello sguardo, l'opera come oggetto di meditazione, il richiamo tra le opere, l'inscindibile legame tra opera e pittore... sono tantissimi gli spunti di questo libricino che pesa più di un manuale perché è memoria di arte vissuta.
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