giovedì 23 agosto 2012

INCUBO D'AGOSTO

L'incubo d'agosto è targato USP. Nello specifico, il mio, è targato USP Modena.

E' un incubo particolare che si srotola col suo carico d'angoscia lungo tutto il mese d'agosto con punte acute a fine mese-inizio settembre. Da alcuni anni si preannuncia con incubi-preavviso a luglio.
Questi preavvisi hanno il compito di preparare il mio fisico ela mia mente all'isteria d'agosto che è la patologia tipica del mese estivo, quando il mondo "di ruolo" si gode le meritate vacanze.
Io ad agosto sono affetta dalla omonima isteria.
Se ho spasmi gastrintestinali, sono isteria d'agosto, mal di testa, insonnia, malumore, debolezza muscolare, attacchi di panico, depressione... TUTTE MANIFESTAZIONI DELL' ISTERIA D'AGOSTO.

L'incubo d'agosto assale di giorno e continua di notte.
Ti prende con la notizia Usp letta nello specifico sito o imparata di second mano dalla telefonata di un collega o dedota dal post della sua bacheca...
nella testa mille congetture, mille ipotesi, positive e soprattutto negative.
Quelle positive si rivelano sempre sbagliate.
Anche quelle negative sono mendaci: la verità è sempre molto peggiore!

Oggi l'incubo è allucinazione e decreta che quest'anno non si mangia!

61/A-STORIA DELL'ARTE 5 ore presso LC FORMIGGINI SASSUOLO
61/A-STORIA DELL'ARTE 4 ore presso LICEO MURATORI MODENA
61/A-STORIA DELL'ARTE 4 ore presso IPC MEUCCI CARPI
61/A-STORIA DELL'ARTE 2 ore presso IPC MORANTE SASSUOLO
61/A-STORIA DELL'ARTE 19 ore presso ISA VENTURI MODENA
61/A-STORIA DELL'ARTE 4 ore presso ITC BAROZZI MODENA
il primo in graduatoria quest'anno lavora.
il secondo farà 13 ore al massimo con 3 scuole (non se ne possono prendere di più.
io, la terza in graduatoria, avrò 6ore, un terzo di cattedra e 400 euro mesili con relativa disoccupazione per l'estate.
Per tutti gli altri... ci spiace arrangiatevi.
 Quest'anno, l'incubo d'agosto durerà fino all'agosto 2013.
Che dio porti con sè, alla gloria eterna, i riformatori della scuola italiana!

estate senza leggerezza


Mi hanno tanto inculcato che vivere è "roba seria", che necessita la "responsabilità",  che non riesco a vivere con leggerezza. 
Come vorrei mollare tutto e godere di questa breve estate.
Spegnere il cervello e vivere senza preoccupazioni inutili.
Inutili!
Perchè è inutile preoccuparsi di meccanismi che non posso cambiare (trasferimenti, utilizzi e assegnazioni povvisorie, ore che spariscono, docenti di ruolo che si materializzano...) e nemmeno controllare o verificarne cambiamenti o disfunzioni (all'USP ci deve essere un librone stile Harry Potter con le regole che si riscrivono ad hoc!).
 Vorrei saper'essere disoccupata dalle ansie, dagli abbandoni, dalla solitudine e delusioni... mentre lo sono, dalla fine degli esami di stato, solo dalla scuola.
Disoccupata dalla scuola per occuparmi solo della famiglia, della cucina ... senza essere assalita dalla noia e dall'angoscia del fallimento.
Mi piacerebbe passare i pomeriggi a leggere romanzi, qualche saggio, a continuare la faticosa lettura di Schama, e a passeggiare.
Ma passeggiare è attività rischiosa perchè non necessita delle facoltà intellettive, che partono autonome per il loro trip quotidiano,  invece vorrei passeggiare pensando solo al panorama.
Non ho voglia di ricominciare la scuola: di essere la scure sulla testa di uno studente, di fargli prendere decisioni per le mie paturnie, per il nervosismo di quel momento, di dirottare i suoi progetti  perchè devo, proprio quel giorno, fare un compito o una interrogazione.
Non mi sento, non mi sono mai sentita, una persona matura, equilibrata, men che meno saggia, razionale. 
La vicenda degli esami di Stato mi ha scioccata: continuo a pensare quante volte ho deciso il corso delle giornate o delle stagioni di qualcuno, non per il suo bene, per la sua formazione ma perchè... boh... perchè quel giorno ero chiusa nella mia rabbia o nella mia concezione di sapere.
E' così non sto esagerando, e dico questo non solo perchè ho sempre considerato quei commissari persone serie ed  imparziali, capaci, razionali e scrupolosi. Ma anche per quello che è successo agli scrutini di qualche tempo fa.
Una collega ha voluto punire una studentessa, sicuramente poco studiosa e troppo furbetta, perchè i suoi avevano rotto le scatole.
Mi sono vista costretta, dopo aver trasformato alcuni 4 di altri studenti in 6, a dare il debito a questa che aveva un 5 abbondante.
Costretta dalla collega che ha , con la voce della prepotenza e del ricatto, decretato l'assoluta necessità di "dare una lezione"( il che da un insegnate ...) azzerando etica e didattica in pochi minuti!

L'ingiustizia era palese e tale l'hanno colta, non solo la infelice malcapitata, ma anche i suoi compagni più somari.
Avrei dovuto oppormi con forza, ma semplicemente questa mi stava sulle scatole, lei e la sua saccenza, le sue assenze , i suoi modi.
Mentre mi stavano più simpatici i compagni salvati... dal debito in arte, ma che portavano a settembre altre materie ritenute "più utili".
Non voglio più fare la prof.
Perchè mi giunge chiara l'immagine della frustrazione, e non è un bel vedere.
Perchè non sono, in fondo, in grado di capire e di trasmettere, di valutare oggettivamente, non mi sento in grado, anzi penso non sia possibile, valutare oggettivamente.
Non ne ho voglia anche perchè non mi sento parte delle colleghe della disciplina, men che meno delle altre affini alla mia.
Sono stata assalita da un grand'avvilimento nel constatare che ad un professionale è stato adottato un testo che era vecchio ed insignificante 10 anni fa, me lo ricordo bene perchè quando il rappresentante me lo portò, alla scuola dove insegnavo allora, pensai che mi avesse portato i resti di magazzino.
L'hanno adottato, quello tra infiniti altri -meravigliosi e meno- ma almeno nuovi e con una impaginazione nuova e concezione aggiornata, valutandolo adeguato all'insegnamento: l'idea è che un libro semplice ( senza dire nulla sul vetusto...) sia meglio per gli studenti (di serie B) del professionale.

Ho fatto i conti con un altro modo di insegnare storia dell'arte: quelli che un testo sposano per la vita.
Ho sudato sette camicie per fare "ripetizioni" ad una "monella" col debito in storia dell'arte: doveva recuperare poche cose di architettura del Rinascimento.
Niente di strano. Poche cose... ma era ben specificato che la richiesta era legata al testo di Argan! con la specifica dei titoli dei capitoli e paragrafi... cioè lo studio del libro, quindi non dell'arte ma dello studioso.
E' un testo di "filosofia" e leggendolo non si capisce minimamente cosa sia quell'edificio o cosa rappresenti quell'opera: Argan, con molte ragioni, era chiuso e preso ad illustrare il corso dei suoi pensamenti e le sue riflessioni che danno per scontato la pregressa  conoscenza dell'opera.
L'Argan non serve per capire l'opera serve per capire Argan.
E io mi prostro fino a terrra, anzi faccio la proschinesis e mi pongo minuscola nella prospettiva gerarchica ai piedi del grandissimo Argan.
Ma quel testo è inutile per ragazzi che devono approcciare l'arte (è necessaro ai futuri storici dell'arte che frequentano l'Università!): è una mancanza di rispetto nei confronti dei ragazzi, nei confronti del grande Argan e ... dei contribuenti.
Poi visto che ci sono, faccio la saccente e dico che studiare Michelangelo e Caravaggio o i manieristi, ma tutta l'arte, con un testo del '68 è ignorare che l'arte, la conoscenza delle opere, i restauri e le puliture fanno dei progressi: è un autogoal!
Significa che gli storici dell'arte non ci fanno niente nel mondo, allora che s'insegna a fare?

Ecco ho fatto un sacco di ragionamenti, ho studiato, ho cercato di spiegare, ma poi mi chiedo: ma io ho sempre ragione? ho sempre la soluzione per tutto?
Non può essere... sto sbagliando e non me ne accorgo.

Come vorrei saper vivere in leggerezza solo per un po'. Senza arte e impegni: senza essere assediata dalla necessaria urgenza di capire.

mercoledì 15 agosto 2012

Confidenze d'agosto (scritte pianissimo)

Penso che in ognuno di noi ci sia un ostinato bisogno di sentirsi vivi.
E non so se vale per tutti, ma il bisogno di vita spesso è intrinsecamente connesso alla comunicazione della vita e della vitalità.
Per “comunicazione della vita e della vitalità” non intendo ora il trasmettere la vita nell'accezione più alta e nobile dei genitori o della cura del medico o di coloro che donano un organo o parte di sé per alleviare sofferenze o salvare i giorni altrui che apparirebbero altrimenti perduti.
Non parlo quindi di vita fisica.
Parlo di vita del pensiero, del sorriso cioè del senso della vita.
Ho sempre avuto la percezione che la mia vita non potesse essere solitaria, fino a scoprire, non troppo tempo fa, che la mia capacità intellettuale è inesorablmente legata alla relazione.
Questa scoperta è stata piuttosto dolorosa.
È doloroso scoprire la propria inutilità pur nella unicità: la inutile solitudine.
Mi sento, in questo mondo una tessera, una pedina, un frammento, solo una piccola trascurabile parte che necessita del resto,  e che da sola è inutile ed indecifrabile.

Tuttavia per le note vicende professionali (il decennio di precariato) e personali ( la dislessia e le conseguenze lentezze universitarie) non passa un solo giorno senza che io constati che, mentre io necessito di quel tutto, il tutto non necessita assolutamente di me.
Sono di troppo, fuori tempo, sostituibile e anche evidentemente poco “preziosa”
Le vicissitudini professionali sottolineano che le scelte razionali e ben ponderate che ho fatto (specializzarmi solo nella storia dell'arte che amavo e che mi pareva fondamentale disciplina di studio in Italia) sono totalmente smentite dalla follia del momento presente.
Le vicende personali mi hanno costretto ad arrivare tardi al mondo del lavoro e senza tutte le competenze (le lingue straniere ad esempio) che mi avrebbero aperto le strade alternative ormai irrimediabilmente chiuse.
Però noto un'altra forma di “repulsione” che è l'educazione ricevuta dai miei genitori. Molto semplicemente i miei, che hanno costruito la loro famiglia dal niente, hanno trasmesso ai loro figli quella che era la stata la loro esperienza iniziata negli anni sessanta: chi fa il proprio dovere prima o poi arriva ai risultati sperati, chi da nulla arriva ad avere molto più del necessario significa che ha rubato agli altri, i migliori presto o tardi avanzeranno sui mediocri e sui peggiori...
Ecco, questi principi che erano  veri ai tempi della mia educazione, ora non lo sono più.
Non è questa la sede per indagare del come e del perché, solo oggi questi ideali educativi -che hanno smesso da tempo di essere solo miei atteggiamenti, ma sono divenuti costitutivi del mio DNA- non servono, anzi sono di chiaro impedimento alla mia realizzazione.

Penso allora che, forse, questo pezzettino, questa tessera o frammento, che costituisce il mio io, sia difettoso, fallato, da sostituire. Oh sì, si è usato, talvolta, in attesa di averne uno conforme.

E' una constatazione dolorosa, che si fa strada con molta chiarezza nel mio vissuto, ed è ormai divenuta convinzione.
Forse per questo amo tanto gli altri pezzetti "fallati" e "difettosi" che talvolta incontro tra i banchi...

lunedì 6 agosto 2012

Metti un lunedì d'agosto in centro a Modena

Lunedì a Modena c'è il mercato, si parcheggia nelle strisce blu, intorno al centro, senza pagare ...
Uffa... colazione con cappuccino ma niente pasta al caffè... va beh dai, sarà per la prossima volta.
Che afa, che aria pensante, arrivo a Feltrinelli poi torno in montagna...
... devo smettere di pensare, lo ha detto anche don Federico, ieri "le persone che pensano molto, soffrono di più!" ehhh ne avevo avuto il sospetto, ma sentirlo dire...
La porta del Palazzo dei Musei è aperta!?... da quanto tempo non ci entro?
... dal terremoto del 29 maggio, dalla fine improvvisa della scuola e dal trasferimento "in periferia" dell'Istituto d'arte Venturi.
 Però in centro ci sono tornata,  molte volte... ma qui, al Museo, era tutto chiuso, con le strisce biancherosse che tenevano lontani i passanti e i turisti anche dal perimetro esterno.
 Magari non dovrei entrare: è una brutta idea, entrare non aiuta a tener lontani i pensieri...
Stai facendo la solita cazzata, il tuo cervello dovrebbe comandare i tuoi piedi...
Che fresco che c'è appena varcata la porta: sarà la corrente dei ricordi che mi assalgono...
ecco la mostra "modello" degli scavi del Novisad
il lapidario Civico nel cortile coperto "ah le polemiche ... incomprensibili!"
Una città come Modena ha tre musei lapidari, secondo me nemmeno a Roma!
chissà se è aperto anche il Lapidario Estense, nel cortile più grande...
Lascia perdere, esci, sei venuta per non pensare: non pensare?
Non pensare che, per il secondo anno consecutivo, qualcuno arriva, in maniera inaspettata,  subentra sulle classi che hai faticosamente seguito e si prende l'onore di godersi il frutto della fatica dei concorsi che, assieme agli studenti, hai organizzato, progettato, e infine vinto. Lo scorso anno, addirittura, la prof che ti ha sostituito non è stata nemmeno in grado di "goderne" delle tue fatiche e se una collega non fosse giunta in soccorso, le due classi avrebbero rinunciato alla gita in parte sovvenzionata dal concorso vinto! quest'anno tutto si ripete, concorso, studio, lavoro, fatica -soddisfazione divertimeto- vinto il concorso e arriva sempre lei... speriamo che almeno riesca a sfruttare il premio per il viaggio  a Roma... mah, ho i miei dubbi...
Ohmmio dio!
Non me lo ricordavo così bello, nè così amico, questo cortile è meraviglioso.
Quanto ci sono stata, quanto abbiamo progettato e quanto eravamo fieri della mostra.
I pianti, gli sms a Londra, i divieti, gli inviti, gli incoraggiamenti, l'inaugurazione, la fatica e l'adrenalina, fiumi di adrenalina.
I ragazzi che allestivano, i ragazzi che spiegavano, i pannelli da dipingere, la pioggia e i permessi per entrare in centro con le auto, le incomprensioni, le emozioni, le emozioni, le emozioni. Marco e Daiana. la Polly che sorride e Gaia isterica ma che risolve un sacco di problemi e Luca che ogni tanto da segni di attività cerebrale.
Eleonora, Valentina, Lavinia, Federica e Francesca,  il plotter che si inceppa e una idea geniale che aggiusta tutto.Gli abiti di Robby, il velo sulle colonne del Cinquecento. Il sovrintendente che divienne un volto conosciuto. Quanta gente quanta vita quante opportunità: chissà se le avremo colte tutte?
Mi rendo conto di essere rimasta immobile a fissare il vuoto, la bibliotecaria della Poletti mi sta guardando, chissà da quanto tempo... "ehhhh, buongiorno"
Mi sorride indulgente, avrà dato la colpa al caldo.
Dai faccio il giro, faccio,l'appello
Non dovrei farlo lo so... tanto a che serve? a chi insegnerò quest'anno? non avrò delle prime, non sarò a Modena.
NO! non devi pensare, non sono questi i pensieri che devi fare.
Il sarcofago di Cornelia Massimina e di Vetio Sabino con la dexterarum iunctio e la scena di caccia, che non si vede ma io so che c'è. Lo conosco: è nei miei occhi. Di fronte guardano accigliate, non me lo ricordo quello sguardo così severo, Salvia Italia e la liberta, ben pettinate tanto che così, sovrapensiero mi verrebbe da pensarla più una pubblicità da pettinatrice invece di una lapide funeraria.
Però mi ricordavo che erano sorridenti...
Mi vorranno punire per la mia latitanza: "ohi parliamoci chiaro, io venivo tutti i lunedì alle 14, appena finita la scuola, ma dopo il terremoto, hanno chiuso la scuola e il Palazzo dei Musei. Chiaro?"
Sesto Allius è ancora chiuso nella clamide, per attestare che la sua risalita sociale: molto più importante dell'afa d'Agosto.
Il  Caius Maternus Quintianus sdraiato sul triclinio che banchetta, Peducaeus Nicephous sdraiato sul kline, il letto, e ancora i due sposi che banchettano nel sarcofago di Flavius Vitalis e Bruttia Aureliana. Sono manuali di stile e io li rivedo volentieri perchè in loro scorgo e sento i miei ragazzi dello scorso anno, tutti, perchè li ho portati qui tutti, anche quelli di Carpi.
Sento le mie emozioni, la loro noia, le gambe pesanti, gli occhi attenti, il sorrisodi chi ha capitoil gioco di parole, l'odore della pioggia e la luce del sole seduttore di primavera, l'attesa della fine della scuola, la mia voglia di sentire che hanno capito e cancellare quei numeri bassi che non li rappresentano, mai.
 La stele di Lucio Novio con quella ragazzina che tiene la gabbia tra le mani e, per l'ennesima volta, mi parte un collegamento sbagliato con il Manuel Osorio Manrique de Zuñiga, 1790, di Francisco Goya al Metropolitan Museum di Washington.
La stele dei Salvi, la prima e antica conoscenza che mi portò al fascino del reimpiego che mi fece guardare all'arte medievale in un modo tutto diverso.

Poi mi incanto a contemplare la magnifica bellezza della "Pudicitia", così frammentaria e rovinata che non ha conservato nemmeno il nome,...a me sembra più affascinante della Gioconda.
...della Gioconda... bisogna smettere di pensare che ci siano 3 musei e 10 opere d'arte al mondo!
Una campagna pubblicitaria io la farei con questa meravigliosa figura misterosa e raffinata quanto basta... Perchè no?
Perchè nessuno ha interesse per il glorioso Lapidario Estense -da non confondere con il Lapidario civico, mi raccomando! e men che mai con il Lapidario della catterdrale che è a fianco al Duomo-.
C'è più impegno ad alzare barricate che a pubblicizzare cultura...

Vado, esco...

Piazza sant'Agostino, il nuovo negozio di scarpe... sì, le mie preferite ci sono ancora: 184 euro? certo i miei gusti non sono mai modesti...Però le altre sono in svendita: ahhh, quelle no, proprio quelle sono a prezzo pieno!
Mi sa che resteranno nella lista dei desideri per molto tempo ancora!
"Riapre la chiesa di San Giovanni con i suoi tesori... dopo il terremoto, il 22 luglio riapre... tutti i giorni eccetto il lunedì", ah certo, oggi chiuso!
La piazza, l'interruzione della via Emilia all'incrocio con corso Duomo... con i rassicuranti banner che tranquillizzano : "stiamo lavorando per Luca" proprio sopra alla facciona di un certo signor Luca. "Stiamo lavorando per Sara" e la facciotta di una signorina che ...
 ...
non ho il coraggio di entrarci in Duomo, mi hanno detto sia tutto impalcato e transennato... aspettiamo: oggi è vietato pensare.
Feltrinelli è piena di gente.
Quando ero piccola, nelle giornate di caldo mio padre mi portava alla Standa e alla mia lamentosa protesta "ma perchè siamo qui se non comperiamo niente?" "perchè il fresco non è in vendita!" La Feltrinelli non c'era 35 anni fa!
Faccio il solito gioco e continuo a constatare che non è ancora ora di scrivere il mio best seller perchè il mio libro sarebbe, a questo giro, nell'ennesima posizione sfavorevole, nello scaffale più alto tra Tondelli e Tonon: decisamente è meglio aspettare! I tempi non sono maturi.
Agende: non c'è mai la mia, non sono maturi per nulla i tempi!
Nulla di nuovo al reparto arte, al reparto moda, al reparto storia, al reparto ... esco.

Via Emilia mi ha stufato
Devo prendere appuntamento dal parrucchiere, oggi non c'è tempo, nè voglia... nè soldi. Ci penso al primo stipendio... da disoccupata niente parrucchieri, sto così: disordinata e disoccupata mi pare coerente!
Via Badia è sonnecchiosa e fresca, tutta all'ombra.
La signora di "Grillintesta! è sulla strada, il suo negozio di cappelli vuoto, tutta la via è vuota!
La signora che fa i libri, quaderni, quadri e quasi-qualsiasi-cosa a mano con "delle carte bellissime" ha in vetrina delle collane con i ciondoli reiku.
Guardo bene la vetrina e continua a non dirmi niente: perchè questo negozio non mi piace? non lo so.
Piace a tutti, dovrebbe piacere anche a me. Mi sento lievemente in colpa o forse mi sento solo scema: c'è qualcosa che non capisco...
Ma questo profumo è buonissimo, questo sì che mi piace proviene dal negozio di prodotti di design... si è ingrandito , ha anche l'abbigliamento..."un delirio di righe bianche nero"  alla larga dalle righe!
il profumo però era buono ...
Hanno chiuso altri negozi, molti solo per ferie ma la pasticceria è chiusa e basta, mi pare l'avessero aperta da poco, forse 6 mesi?
Profumo di meloni maturi: esce dal furgone che porta i prodotti alla gastronomia.
Il negozio di tè è chiuso per ferie...
Ferie e non disoccupazione, ferie...
 ...
 Non pensare ...

venerdì 3 agosto 2012

Sfogo ad arte

http://elenatriolo.blogspot.it/2012/07/notte-destate.html
oppure su Facebook: Elena triolo -storie disegni carote e cannella
Se l'opera d'arte è un documento, significa che questo va contestualizzato, conosciuto e capito.
Se l'opera d'arte è una testimonianza del bello, va elogiato con parole adeguatamente difficili, stantie e suggestive.
Se l'arte è un documento allora insegnarla è un'operazione educativa e culturale indispensabile,  che riguarda la didatticaricerca del linguaggio delle immagini
Se l'arte è " trasmissione di emozioni" si può solo cercare di interagire vis a vis con il monumento e nessuno può insegnarre a fare ciò, l'opera è lì e tu sei davanti a lei!
...
... possibilmente facendo notare al resto del mondo  la distanza che intercorre tra il sensibile conoscitore  e tutto il resto del mondo.

Capisci che per quest'ultimo concetto non serve nè conoscere, nè sapere, serve solo dettare le distanze e delimitare i confini.
Nel primo caso l'insegnare significa spiegare, contestualizzare e chinarsi a qualche iniziale semplificazione per avere la possibilità di continuare specificando e facendo fare esperienze di arte, dal vero per quanto è possibile.
Nel secondo caso insegnare arte serve a mettere in evidenza quanto lo studente sia ignorante, insensibile ... deficiente... e non c'è niente da fare o ci sei o non ci sei.
L'arte, non si insegna più proprio perchè in troppi hanno portato avanti questa seconda modalità: l'arte come discrimine d'elite, l'arte per privilegiati, l'arte che se non la capisci, se non la ami... non ce la puoi fare, l'arte come lusso estremo e in tempo di crisi, si sa, i lussi se li possono permettere in pochi.
Invece a me pare che la storia dell'arte sia l'insegnamento sistematico dei linguaggi artistici e dei loro contesti che hanno come finalità fondamentale la loro conoscenza e tutela di un patrimonio diffuso e sparso ma ugualmente appartenente a tutti. E quel tutti significa  di ogni persona di ieri , oggi e di domani.
La storia dell'arte che è indispensabile agli italiani è il linguaggio della stratificazione culturale che è il nostro paese.
La storia dell'arte è l'arte che non "si sente emozionalmente" (se poi fa emozionare ancora meglio) ma si deve apprendere, come la lingua italiana, come la storia, come i fondamenti matematici, come si impara fin dai primi anni a vestirsi e fare la spesa: come saper vivere in questo museo a cielo aperto che è la nostra patria.
...!

Ritratti di donne "sole" (arte al femminile IV parte)



7 7A Carpaccio, Due dame veneziane, 1490-95, olio su tavola, 94x64 cm, Venezia Museo Correr
Carpaccio, Caccia in Laguna, 1490-95, olio su tavola, 76x64 cm, Los Angeles Getty Museum

Da sessant'anni questo dipinto è stato oggetto di studi e ricerche da parte della critica ma il suo significato sebbene sia stato spiegato non è del tutto chiarito. Negli anni '40 il dipinto con le due dame del Museo Correr è stato riconosciuto come la parte inferiore della tavola La Caccia in laguna, infatti, il fiore nel vaso sul parapetto, mutilo nella tavola delle due dame, si presentava con incongruità nella scena della caccia in laguna. L'opera, che fino a quel momento era letta come la raffigurazione di due cortigiane, si rivela come una brano di vita quotidiana: due nobildonne aspettano sedute, mentre i mariti sono a caccia in laguna.
Le due donne stanno in un sospeso ozio sulla terrazza che è caratterizzata da una ricca e raffinata decorazione: la pavimentazione con intarsi marmorei a motivi geometrici, la recinzione caratterizzata da tre diversi marmi colorati per le esili colonne, i capitelli e la balaustra.
Intorno a loro una moltitudine di oggetti e animali documentano, più che il loro svago, una simbologia raffinata che tenta di evidenziare le caratteristiche delle due dame: cani, uccelli, quali una pavoncella, due tortore e un pappagallino; i sandali, detti calcagnini, un vaso di maiolica con stemma araldico della famiglia veneziana Torella e uno di terracotta con un alberello di mirto.
Il matrimonio è richiamato dal mirto nel vaso a destra, pianta legata a Venere, e dalle due tortore, che indicano un solido legame sponsale; anche l'arancia rientra nella simbolica matrimoniale, in quanto dono delle spose. La pavoncella è legata al concetto di fecondità della coppia sposata, mentre il pappagallo, solitamente associato a Maria per il suo verso "ave", riferito all'Annunciazione, qui simboleggia il divenire madre della sposa. I due cani, con il loro significato di lealtà e attenzione, tenuti dalla donna più anziana, sottintendono che a questa spetta il compito di custodire la giovane sposa e garantirne la rispettabilità. Il giglio, che si trova nella tavola del Getty, indica la verginità e richiama il dono dell'Arcangelo Gabriele a Maria nell'Annunciazione.
Il paggetto che si affaccia dal traforo della balaustra contribuisce, assieme alla ricchezza decorativa e all'abbigliamento, a rendere più nobile la raffigurazione.
Le due dame, ritratte di profilo, sono di età diversa, una più giovane e una più matura, e sono riccamente abbigliate. e hanno intorno a loro tutta la simbologia che ne fa delle donne virtuose, come era richiesto alla donna veneziana: la continenza e la modestia, la collocavano in una società che aveva le sue radici nella famiglia e nella maternità.

 
La moda veneziana della seconda metà del Quattrocento.
Le due dame sono vestite con abiti proprio dell'aristocrazia veneziana. La donna in primo piano, più anziana, veste la camora di velluto, con un busto corto segnato sotto il seno; la scollatura è ampia e le maniche, in tessuto prezioso, sono attillate, staccabili e intercambiabili nate per dare maggiore agilità ai movimenti del braccio, le maniche erano unite all'abito da lacci e impreziositi chiamati agugelli o aghetti ; i tagli mostrano la preziosa camiciola sottostante.
La donna in secondo piano, più giovane, ha un abito diverso, il rocchetto, che è un soprabito leggero e più corto della veste; è aperto ai lati ed ha quindi la funzione di essere di contrasto con la veste che rimane in vista nel bordo in fondo e ai lati. La donna indossa delle calzature davvero curiose che furono molto in voga soprattutto in Germania ma, evidentemente, fecero capolino anche a Venezia: le calzature a zampa d'orso. Queste non erano usate per camminare, ma solo per sostare, a causa della pianta eccessivamente larga ma anche per il materiale ricco e delicato con cui erano fatte. Infatti, per spostarsi si usavano i calcagnini la cui zeppa era tanto alta quanto erano nobili le donne. Anche in questo caso, una legge suntuaria ne limitava l'uso e l'altezza.
Gli abiti sono sobriamente decorati da perle, portate dalle novelle spose in segno di castità e rispetto verso il marito; le collane, a un solo filo, in rispetto delle leggi suntuarie, decorano i décolleté.
La pettinatura delle due dame è chiamata “a fungo”, i capelli sono raccolti sulla sommità del capo e fermati come fossero una ciambella vera e propria. Tutt'intorno corti riccioli scendono sul viso. Fu proprio a causa di queste pettinature che i critici (prima della scoperta della tavola del museo Getty) insinuarono che le due donne fossero cortigiane. Infatti le leggi suntuarie veneziane vietavano la pettinatura ”a fungo” -indicata come l'acconciatura delle cortigiane- in quanto giudicata indecente.

Ritratti di mogli (arte al femminile III parte)


4 4A Piero della Francesca, Battista Sforza, dal Dittico dei Duchi di Urbino, 1465-1472, olio su tavola, 47x33 cm ciascun pannello, Firenze, Galleria degli Uffizi.

Battista ha la pelle chiara, come imponeva l'etichetta del tempo: era infatti segno di nobiltà, in contrapposizione all'abbronzatura dei contadini che dovevano stare all'aperto. La fronte è altissima, secondo la moda che imponeva un'attaccatura molto alta (i capelli venivano rasati con cera e calce), e l'acconciatura elaborata, intessuta di panni e gioielli.
Piero, al pari dei fiamminghi, si soffermò sulla brillantezza delle perle e delle gemme, restituendo, grazie all'uso delle velature a olio, il "lustro" (riflesso) peculiare di ciascuna superficie, a seconda del materiale. La ricchezza dei gioielli, la ricercatezza delle stoffe e la raffinatezza dell'acconciatura evidenziano l'importanza e l'opulenza della corte d'Urbino. Soprattutto la presenza di Battista attesta che la nobiltà di Federico, da sempre ritenuta dubbia, è ora certa e riconosciuta, inoltre è solido anche il suo potere politico ampliato dalla vasta sfera di alleanze della famiglia della sposa.
Il dipinto era incernierato a quello di Federico da Montefeltro. Le due tavolette sono concepite insieme come un dittico apribile come un libro, e questo ci dice che era a destinazione privata, probabilmente era stato commissionato dal duca dopo la morte di Battista.
Questi due ritratti hanno in comune, a parte la medesima posa dei due duchi che si fronteggiano, anche il paesaggio, senza soluzione di continuità su entrambe la tavole, a perdita d'occhio: dietro la duchessa si vede un paesaggio collinare caratterizzato da un lungo muro di fortificazione con molte torri che allude alla sicurezza del ducato ma anche alla castità della duchessa fedele al marito. Invece dalla parte del duca il paesaggio è raffigurato dai corsi d'acqua, via di commercio privilegiata.
I duchi sono raffigurati di profilo, come nelle medaglie, in un'immobilità solenne, sospesi in una luce chiarissima, che accentua le figure in primo piano.
L'infinitamente lontano e l'infinitamente vicino (rappresentato dalla cura dei particolari nei ritratti) sono mirabilmente fusi, dando origine a una realtà superiore e ordinata, dominata da leggi matematiche che fanno apparire gli esseri umani non più come mortali ma come idealmente eterni, grazie alla loro superiorità morale.
Il retro delle tavole elenca le virtù dei duchi attraverso la rappresentazione dei Trionfi.
Battista Sforza è figlia del signore di Pesaro, Alessandro Sforza e di Costanza da Varano. Il padre Alessandro è fratello e prezioso alleato di Francesco Sforza che diviene signore di Milano nel 1450.
Battista sposò Federico da Montefeltro nel 1460, fratello della sua matrigna (Sveva figlia di Guidantonio da Montefeltro) e conte Urbino.
Pare sia stato un matrimonio felice, viste anche le spiccate doti culturali e di governo della giovanissima contessa, facenti funzioni di vicario durante le numerose e lunghe assenze del marito. Naturalmente la sua biografia, come i dipinti che la ritraggono, sono sempre encomiatistici ed esaltano le virtù tipiche della moglie del duca, la fedeltà, la modestia, la nobiltà, la cultura e la sua rettitudine di madre e sposa, esempio per tutte le spose del ducato.
Conosciamo un lungo elenco di figli che ebbe con Federico e anche di altri 3 figli che Federico, ebbe con altre donne e che furono allevati da Battista a corte.
5 5A Mantegna, Barbara di Brandeburgo, nella Camera Picta, 1465-1474, affresco, Mantova, Castello di San Giorgio.

Barbara di Hohenzollern (1423-1481) fu la prima figlia di Giovanni l'Alchimista, erede dell'elettore del Brandeburgo Federico I di Norimberga, e di Barbara di Sassonia-Wittenberg. A dieci anni venne data in sposa al diciannovenne Ludovico, figlio ed erede del Signore di Mantova Gianfrancesco Gonzaga. Le nozze vennero celebrate a Mantova il 12 novembre 1433.
Barbara divenne marchesa alla morte del suocero nel 1444, mantenendo il titolo fino a quando rimase vedova nel 1478. A succedere a Ludovico III fu loro figlio Federico I Gonzaga.
Partecipò alla gestione del governo e curò personalmente l'educazione dei figli.
Dal matrimonio nacquero dodici figli. Barbara è ritratta accanto al marito in questa, che è la stanza di rappresentanza, per due ragioni principali: una funzione politica di testimoniare l'alleanza con l'elettorato del Brandeburgo, esibire la prole legittima e numerosa che significava garantire una successione pacifica e sicura. Nel piccolo marchesato dei Gonzaga la politica delle alleanze era la garanzia necessaria per la sua prospera sopravvivenza il numero dei figli e figlie assicurava anche l’ampliamento o il mantenimento delle alleanze.
L'affresco in cui è raffigurata Barbara è parte della decorazione della camera picta detta anche camera degli sposi. Questo secondo nome non deve trarre in inganno: non si tratta di una stanza privata che corrisponde alla nostra camera da letto matrimoniale ma è una camera in cui si ricevevano ospiti ufficiali ed era enfatizzata la potenza politica dei Gonzaga. Nella tabella di dedica, sulla porta d’ingresso sono nominati come committenti entrambi i coniugi, e non solo Ludovico come accadeva solitamente. Evidentemente l’alleanza con il Brandeburgo era un riconoscimento molto importante che aveva grande valore nella politica delle alleanze di Ludovico.

6 6A Raffaello, Maddalena Strozzi, 1506, olio su tavola, 63 x 45, Firenze, Galleria Palatina.
Raffaello, Agnolo Doni, 1506, olio su tavola, 63 x 45, Firenze, Galleria Palatina.

Maddalena Strozzi è ritratta in sontuose vesti arricchite da preziosi gioielli che attestano le sue virtù. Il vestito è tipico della moda dell'epoca, con ampie maniche rimovibili, di colore azzurro e con damascature visibili in controluce: esempi pressoché identici si trovano anche in altri ritratti raffaelleschi. Sulle spalle indossa un sottile velo trasparente.
La minuziosa attenzione con cui Raffaello descrive il raso rosso, il broccato azzurro, le passamanerie e il trasparente velo degli abiti fa sicuramente riferimento all'attività del marito ricco mercante di stoffe.
Raffaello ritrae in modo realistico la pienezza delle carni e l'imperfetta bellezza della donna, cercando però di aggraziarne i lineamenti e addolcirne lo sguardo attraverso la sua armonica linea curva che si rincorre tra la fronte incorniciata dai capelli raccolti, la scollatura e la linea delle spalle e le braccia
E' ritratta seduta a un balcone che rivela, oltre il parapetto, un magnifico paesaggio collinare, che ha sostituito l'interno di stanza con finestra del progetto originario. Il taglio è monumentale e il personaggio, ritratto col busto di tre quarti verso sinistra e la testa girata verso lo spettatore, è caratterizzato da una sciolta naturalezza.
L'opera, nell'impostazione generale, è palesemente ispirata alla Gioconda (che Raffaello ebbe forse la possibilità di vedere in quegli anni) ma sicuramente manca di ogni evocazione allusiva o misteriosa tipica della ritrattistica di Leonardo da Vinci, prediligendo la rappresentazione fedele delle caratteristiche umane: infatti la figura si impone come presenza fisica, col viso pieno, con lo sguardo rivolto all'esterno, ben consapevole del prestigio del suo rango sociale.
Il dipinto, pur inserendosi nel preciso contesto della ritrattistica rinascimentale, rinuncia a raffigurare i "moti dell'animo" come aveva insegnato Leonardo, per dare spazio a una figura più realistica in perfetto accordo a con quella del marito Agnolo Doni ritratto dallo stesso Raffaello in pandant con il ritratto della moglie, evidenziando l'elevato status sociale del marito.
Il ritratto venne commissionato dal marito della donna, dopo il matrimonio nel 1503.