domenica 11 agosto 2013

Cenerentola alla Galleria Estense. ( 3 e ultima parte)

Infine propongo la lettura di due opere della Galleria Estense attraverso la storia di Cenerentola per iflettere sulla funzione delle opere religiose nell'educazione delle fanciulle.

Educare sull'esempio della Vergine Maria

Giovanni Francesco Caroto (1480-1555) , Madonna che cuce, 1501, olio su tela, 48x39cm

Questa è la prima opera nota del giovane Caroto datata 1501. In essa la lezione del suo maestro Liberale da Verona, si uniscono alle caratteristiche della pittura del Mantegna.
La plasticità scultorea di Caroto è alleviata dal motivo insistente nelle pieghe degli abiti che denunciano un decorativismo grafico, poco incline a mostrare le forme anatomiche ma tesa ad ingentilire la tridimensionalità dei corpi attraverso motivi di  simmetria (busto) o del ritmo (intorno alla vita).
Il gesto del bambino, in equilibrio sulle ginocchia delle madre, ci rimanda al ricco lessico dei gesti di tenerezza, mentre la figura troppo schiacciata di san Giovannino è tradizionalmente ripresa con la crocetta e il cartiglio, che dichiara il riconoscimento dell’”agnello di Dio”. Anche l’iconografia di Maria che cuce è antica e molto amata proprio per la capacità d’immedesimazione delle donne che ravvisavano nell’attività della santa Vergine un’occupazione domestica famigliare.

Come Cenerentola: la Madonna è l'opposto di Eva: incorruttibile e lontana da propensioni all’amore carnale; è madre, come da ogni donna si pretende per riconoscerle un ruolo sociale di utilità. La madonna cuce, il che significa che simbolicamente essa tiene insieme i fili che reggono l'esistenza: a questo erano destinate le donne di alto lignaggio, tenute lontane dalla vita pubblica
Ma-donna, mia-donna deriva da domina cioè padrona; in amore domina diviene la “padrona del cuore” e Cenerentola è la padrona del cuore di un principe.
Una donna è vera ma-donna quando si dedica ai lavori donneschi e modella la propria esistenza sulla mitezza e sulla subordinazione. Cenerentola, recando su di sé tutti questi attributi, impersona il più efficace modello della donna sottomessa alla volontà e al potere maschile.
Approfondimento
Necessarie per procreare, le donne sono state piuttosto assimilate ad Eva o a Maria, a seconda che di loro si volesse evidenziare la pericolosità derivante dalla carnalità oppure la disposizione all’obbedienza. In entrambi i casi, comunque, l’obiettivo -sociale, culturale, religioso, politico- era il controllo delle donne. Tenute per secoli volutamente ignoranti (salvo qualche rudimento di istruzione delle classi nobiliari per accrescerne il valore di mercato), alle donne si chiedeva di assumere espressione e portamento dimesso perché in esso vi si leggesse con chiarezza come il modello di riferimento fosse la castità mariana.
Ma, essendo di natura fragili e instabili, come secondo i più la seduzione nell’Eden delle origini testimoniava, difficilmente le donne avrebbero saputo o potuto raggiungere l’elevatezza di Maria. Perché allora non trasformare la donna in una eterna penitente come il culto della Maddalena poteva garantire?
Questa figura, oscillando tra  la perdizione a cui si era abbandonata nel suo passato e la dedizione che l’aveva redenta, sintetizzava al meglio lo status in cui era bene che vivesse la donna. Inoltre, essendo il perdono e il riscatto elargizioni di pertinenza maschile, era consequenziale che ogni resistenza poteva essere facilmente fiaccata o annoverata tra le devianze da reprimere. E come in un gioco delle parti, la vita delle donne gravitava tra la proibizione e il controllo esercitati dalle istituzioni, tra la protezione e il possesso esercitati dalle famiglie. Senza considerare che il controllo e il possesso esercitati sul corpo erano causa di sofferenza per l’anima. In ogni caso, di Maddalena la visione canonica aveva taciuto la predilezione del Maestro nei suoi confronti proprio per la mente speculativa che questa donna possedeva. Maddalena nella leggenda era Eva e Maria, ma nella storia era soprattutto la donna che aveva dimostrato quanto la capacità di elevarsi o degradarsi fosse universale e non legata al genere.
Se, come qualcuno afferma, Eva rappresenta la donna che ama il potere da cui si lascia sedurre, allora a questo modello vanno ascritte le regine. Non c’è memoria che qualcuna di esse si sia data peso di riconoscere la condizione miseranda delle donne del proprio tempo e di migliorarla. La loro distanza dalla vita materiale poteva renderle buone amministratrici dello Stato ma non certo interpreti del malessere e della subordinazione sociale a cui le donne erano condannate. La sacralità che avvolgeva le loro persone talvolta le ha rese protagoniste di favole o emblemi di virtù ma mai veicoli dell’elargizione e del riconoscimento di diritti. Alle altre, alle donne comuni non toccava, né per sorte né per concessione, la sublimazione di quel male di vivere da cui erano afflitte. 

Educare alla vita matrimoniale come massima realizzazione

 Marco Meloni ( documentato dal 1498 al 1541), Pala Rangoni, 1490-99, olio su tela, 162,5x134.
Madonna con Bambino in trono tra san Girolamo (a sinistra), san Giovanni Battista (a destra) e i donatori Nicolò Rangoni e Bianca Bentivoglio.
L’identificazione dei committenti è descritta a chiare lettere nell’iscrizione affissa alla predella del trono su cui siede la Vergine: “Nicoleus iuncti Blancha-que coniugio” = Nicolò e Bianca congiunti in matrimonio. Dalla iscrizione si data l’opera prima del 1500, anno della morte di Nicolò Rangoni
Giunta alla Galleria dapprima nel 1901 in seguito al sequestro giudiziale ai danni dei marchesi Rangoni Macchiavelli accusati, poi assolti, del reato di clandestina esportazione di oggetti d’arte di grande pregio artistico e storico; l’opera venne poi acquistata definitivamente nel 1908.

La sacra conversazione è inserita sotto una architettura essenziale, austera, che inquadra i santi bloccandoli nella loro assorta immobilità, ma ne esalta i valori plastici potenti che la posa addolcisce.
Maria, eterea, si distacca per i colori freddi dai due santi col mantello rosso e con la testa equilibra lo sbilanciamento del bambino proteso verso il Battista
I donatori, in ginocchio, sembrano avere due funzioni del tutto diverse: Nicolò Rangoni riprende con la sua veste e la posa la solenne staticità del santo sopra di lui come a ripercorrerne i contorni senza imitarne la grandezza. Bianca Bentivoglio esce da quella fissità grazie al contrasto tra la posa del corpo e lo scarto del volto che si rivolge all’osservatore con una naturalezza che la fa sembrare unica, viva e vivace.

Come Cenerentola: lo scopo dell’educazione delle nobili giovani era il matrimonio. Se le figlie erano più d’una e non si disponeva della possibilità di fornirle di una dote ragguardevole, si preferiva mandarne qualcuna in convento. Il motivo del “declassamento” di Cenerentola (unica figlia di un padre vedovo) a favore delle sorellastre probabilmente designa il desiderio della matrigna di far contrarre un buon matrimonio alle sue figlie eliminando ogni possibile confronto o concorrenza con Cenerentola. Per ottenere ciò non dà una educazione adeguata alla sua figliastra in modo tale che non avrebbe saputo affrontare un debutto in società.
Altro segno del declassamento di Cenerentola da figlia a serva è la perdita del nome, sostituito da un soprannome. In generale questa abitudine è espressione di una visione umoristica o denigratoria di una persona e la definisce per una caratteristica individuale fisica o legata alle mansioni domestiche (ad es. Zezzolla in Basile, Cenerentola in Perrault e nei fratelli Grimm): nella fiaba il soprannome annulla “l’attributo sociale” di figlia e quindi il riconoscimento e il legame parentale con i genitori.





Cenerentola alla Galleria Estense. ( 2 parte)


Leggere alcune opere della Galleria Estense attraverso la storia di Cenerentola è stato un modo per analizzare usi, costumi tradizioni, scelte culturali, modalità educative, tra il Quattro e il Seicento, attraverso le fonti visive, ma anche un sottrarre la fiaba alle solite immagini che alimentano il sogno e la rosea immaginazione.
Dopo aver analizzato alcune "Cenerentole" proposte dalla letteratura e dalla storia propongo alcuni concetti chiave dell'educazione femminile.

Educare all'accettazione del destino e della Provvidenza

Pietro della Vecchia (1603-1678), Le tre parche con il teschio, 1625, olio su tela. (deposito)
L'iconografia di questa opera è dubbia, tanto che il dipinto è conosciuto anche con un titolo puramente descrittivo: Tre vecchie con il teschio.
Il pittore, Pietro della Vecchia proviene da Venezia dove si è formato.

Egli reinterpreta un misurato gusto, pieno di ironia, che ritrae il vero senza aggiungere il bello, rasentando spesso il grottesco, che era stata la cifra tematica di certa pittura veneta e di Bernardo Strozzi.
Dopo un proficuo viaggio a Roma, Pietro della Vecchia apprese e reinterpretò la luce “teatrale” dei dipinti del Caravaggio e dei caravaggeschi.
Le tre parche sono proposte in un primo piano impietoso, che ben coglie la deformazione dei volti delle tre donne mentre sono intente ad intrecciare le loro mani e ad unire gli indici come stessero giurando o sancendo un patto sopra un teschio. Contrariamente al solito, le tre “parche” non hanno gli attrezzi che servono a filare: nel dipinto è l'idea della morte appare molto più evidente rispetto alla rappresentazione della vita.
Tuttavia la scena non è del tutto drammatica infatti è ravvivata dalla luce morbida e dai colori caldi delle vesti, colori smorzati solo dalle tele grezze dei copricapi che, in questa foggia, erano obbligo per le serve.
Sicuramente la mancanza di una più precisa identificazione delle donne, il loro numero e la presenza del teschio non bastano ad identificarle come “parche”: i loro gesti potrebbero indicare la conta degli anni passati, quindi la fine della vita che si approssima, indicata anche dal teschio. Quest’ultimo potrebbe far pensare ad un memento mori ma solitamente questa iconografia non si accompagna a generiche figure femminili, bensì a sante penitenti o ad ha altri elementi -spesso di natura religiosa- che invitano alla meditazione.

Come Cenerentola.
La sorte è alla base della vicenda di Cenerentola, questo è il senso dell’accostamento della fiaba a questa tela.
La sorte determina una serie di eventi che vanno al di là delle forze e della volontà della fanciulla: la morte prematura della madre, l’avidità della matrigna e la superbia delle sorellastre. A tutto ciò Cenerentola si accosta docilmente e con piena umiltà, senza mai tentare di dirottare l’avverso destino. La sorte e la sottomissione sono ile due protagoniste della prima parte della fiaba e vogliono essere una guida all’educazione femminile, uno specchio in cui le fanciulle potevano paragonarsi.

Girolamo Sellari detto Da Carpi (1501-1556) Il Caso e la Pazienza, 1541, olio su tela.


Questo dipinto è pervenuto in due esemplari, uno dei quali si trova a Dresda, in quanto fu ceduto -assieme ai 100 dipinti più importanti della Collezione estense- ad Augusto III Grande Elettore di Sassonia e re di Polonia. Infatti nel 1753 il duca decise di privarsi di questo prezioso tesoro per rimpinguare le casse dello stato ducali dissanguate da anni di guerre.
Questo dipinto, insieme al successivo (La Pazienza), faceva parte della decorazione della Camera della Pazienza voluta dal duca Ercole II d’Este (signore di Ferrara dal 1534 al 1559), nel castello di Ferrara.
Le due figure allegoriche rappresentano l’Occasione e il Pentimento.
L’Occasione ha i piedi alati ed è in equilibrio sul globo posto pericolosamente sul ciglio di un burrone sotto al quale s’intravvede, lontano, un castello. I suoi capelli sono curiosamente senza peso, non ricadono all’indietro e sulle spalle, ma sventolano alti sul capo; nulla resta dietro alla mobile Occasione e nulla le impedisce di avanzare: in mano ha il rasoio per tagliare gli impedimenti.
Il confronto tra le figure che rappresentano l’Occasione e il Pentimento è reso bene dall’accostamento dei piedi e dei panneggi: il biondo ragazzo fatica a stare in equilibrio sulle punte dei piedi, ciò è testimoniato anche dal movimento delle sue vesti che sono corte e leggere e mosse come se stesse saltellando; la donna (ovvero il Pentimento) è interamente coperta da pesanti vesti che cadono molli fino a terra dove appoggiano saldamente i piedi, che si muovono nella direzione contraria a quella dell’Occasione, si appoggiano saldamente.
D’altra parte l’immagine si presta anche ad essere interpretata in maniera contraria in quanto la donna, che guarda da dietro l’Occasione (perduta), è il Pentimento del pavido che non ha avuto il coraggio o la capacità di cogliere e inseguire l’”occasione”.

Come Cenerentola L’occasione di conoscere il principe è colta al volo da Cenerentola che pare non curarsi del pericolo a cui poteva incorrere qualora, incontrando le sorellastre e la matrigna, fosse stata additata come serva “mascherata” da nobildonna; ciò l’avrebbe ricoperta di vergogna davanti a tutti per la propria superba sfrontatezza.
E’ proprio il coraggio, un po’ sventato, che rende  Cenerentola meritevole del “risarcimento” dalle ingiustizie che aveva pazientemente sopportato. Il tutto, nella fiaba, è reso possibile dalla magia della fata madrina -o di un altro elemento magico-. Nella realtà la fata evidenzia il legame della ragazza con la madre che, pur dopo la morte, resta comunque nume tutelare della figlia.

Educare alla sottomissione. 

Camillo Filippi(1500 – 1574), La Pazienza , 1545, olio su tela.
Il duca Ercole II d’Este considerava la Pazienza la virtù più importante, tanto gli era cara che la scelse come motto ispiratore e come motivo dominante nel progetto iconografico che fece capo al rinnovamento architettonico e ornamentale degli ambienti privati ubicati nella torre di Santa Caterina. La "camara" o "camaron della Pazienza" era lo spazio più prestigioso e rappresentativo del maniero dopo che l'incendio del febbraio 1554 aveva distrutto l'area residenziale in prossimità della torre di sud-est, o Marchesana. Nel marzo dello stesso anno, sotto la regia di Girolamo da Carpi, cominciò la riqualificazione di locali preesistenti tanto che già il 23 giugno Camillo Filippi venne pagato per "haver conzato il quadro della Pacientia" (a conferma della paternità già ipotizzata dalla critica per il dipinto oggi alla Galleria Estense).
L’allegoria è accompagnata dal motto “SUPERANDA OMNIS FORTUNA”: la pazienza è il modo migliore per avere la meglio sulle vicende della sorte.

La donna raffigurata appare sullo sfondo di una parete rocciosa, ha vesti colorate e abbondanti che tuttavia non la coprono interamente, infatti, il busto è nudo e il seno è coperto dalle mani incrociate. La lunga veste è aperta ad arte per fare vedere la gamba sinistra imprigionata da una grossa catena di ferro.
La posizione frontale e statica è coerente col viso sereno, ruotato verso sinistra. Lo sguardo è rivolto verso il basso, sulla catena che la imprigiona alla roccia. A fianco della donna sta un vaso, decorato con maschere scolpite, dal quale esce una goccia.
La Pazienza attende immobile che la goccia logori la catena restituendole la libertà.
  
Come Cenerentola: La pazienza, virtù fondamentale richiesta ad una fanciulla, è caratteristica principale della mite Cenerentola. In questo senso la fiaba diviene una sorta di mantra educativo che sostituisce o sostiene l’educazione alla remissività giustificata anche dai precetti religiosi.
L’esercizio prolungato della pazienza che porta Cenerentola a sopportare una condizione di inferiorità: a svolgere mansioni umili, a vedersi usurpare il posto di figlia privilegiata del padre, è risarcita attraverso la magia. Infatti, umanamente pare una condizione inaccettabile ma tollerabile se diviene paradigma educativo esemplare.
La pazienza, la sottomissione, la mitezza sono in duro contrasto con la madrina e le sorellastre che sono rappresentate come avide, interessate, impazienti e litigiose.

Educare ad essere bella

Annibale Carracci ( 1560-1609), Venere, 1591, olio su tela, ovale 110x130

Dal 1586 Palazzo dei Diamanti di Ferrara divenne residenza di Cesare d’Este, cugino e successore di Alfonso II che non aveva eredi diretti. Nel 1586, morto il cardinal Luigi d’Este -proprietario del palazzo, ma spesso assente da Ferrara- Cesare si trasferisce in questa residenza,  nella quale andò ad abitare con la moglie, Virginia de’ Medici (figlia di Cosimo I e di Camilla Martelli), e inizia un programma di decorazione.
Qui fu allestito il memorabile banchetto per le nozze di Cesare e Virginia che durò 8 giorni.
Le committenze per la decorazione del palazzo di Cesare furono moltissime e ben documentate: tra queste, giunsero a Ferrara, quattro tele di Ludovico, Agostino e Annibale Carracci che rappresentavano Plutone, Venere, Flora e Salaci; esse andarono a ornare i soffitti a cassettoni delle stanze private dell’appartamento di Virginia, presumibilmente la stanza del Poggiolo, in concomitanza con la nascita del terzo figlio Alfonso.
I quattro dipinti, assieme a molti altri -analoghi per forma e destinazione- vennero trasferiti a Modena in seguito alla perdita della città di Ferrara da parte dei duchi d’Este.
Venere, che seduta sulle nubi guarda il figlio Cupido, tiene nella mano destra la mela d’oro e hai suoi piedi ha due colombe che sono parte degli attributi che la identificano. Cupido ha in mano l’arco d’oro e, sulla schiena, s’intravvede la faretra.
Le colombe, appollaiate sul bordo con la sorprendente naturalezza caratteristica dell’accademia dei Carracci, introducono l’ardito scorcio della visione mitologica.
Dalle gambe al ginocchio, dalle cosce al busto, dal seno ai capelli ornati di fiori, Venere è nuda e seducente, viva, di carne e la sua divinità è tutta risolta dalla noncuranza con cui si esime dal coprirsi:  adagiata su una nube si mostra perfetta con il pomo, il premio che ne attesta la vittoria di bella tra le belle.
La nudità colloca Venere al di sopra dei ceti sociali (definiti dall’abito e dai gioielli) e la sua noncuranza probabilmente celebra il prestigio della nobile Virginia che, come la dea, aveva il piccolo figlio accanto.

Come Cenerentola: la bellezza e l’eleganza di Cenerentola conquistano il principe che rimane incantato dal suo aspetto e dalla naturale grazia con cui ballava. L’educazione delle ragazze nobili verteva sulla cura del comportamento in società, sulle lezioni di ballo e le regole della conversazione. L’adeguatezza dei modi, il frequentare i salotti giusti, l’essere belle e piacevoli erano premesse indispensabili per contrarre un matrimonio vantaggioso, fondamentale all’equilibrio economico-sociale-politico della nobiltà.

Educare alla verginità


Giovanni Busi, detto il Cariani (1480\85 1547), Ritratto di dama o Allegoria della Verginità, 1515-20, olio su tela, 89 x 65.

Questo dipinto è, per molti versi, un mistero ad iniziare dall’attribuzione incerta per lungo tempo (negli anni passati è stato attribuito a Giorgione e a Palma il Vecchio), ora la critica propende per ritenerlo di mano del veneto Cariani.
L’opera è di grande qualità; rappresenta un figura femminile ritratta fin sotto alla vita dietro ad un parapetto di marmo.
La stessa rappresentazione è ravvisata in tre copie, con poche variazioni, secondo il catalogo on line della Fondazione Zeri
    1.        identificata col numero scheda 39747 collocata presso il Museo di Belle Arti (Szépmüvészeti Múzeum) di Budapest


    2.        identificata col numero scheda 39748 di ubicazione sconosciuta,
     

    3.        identificata col numero scheda 39749 collocata nella galleria Estense


E’ evidente che l’immagine di Modena sia la più curata in quanto la giovane indossa un’elegante collana e un raffinato bracciale non presente nelle altre. Inoltre, da quanto ci appare nelle fotografie le altre immagini sono tagliate in basso e ci presentano solo la parte destra più alta del parapetto, senza la lettera V, presente nell’esemplare modenese.
In questa immagine risalta la plasticità della figura, il virtuosismo del rendere la morbidezza delle carni e la leggerezza dei preziosi tessuti, compresa la trasparenza del velo e la fredda rigidità del marmo. Il tutto è espresso da un sostanziale bicromismo che declina le sfumature del bianco e verde scuro appena arricchito dall’oro dei discreti monili.
Il dipinto ritrae una giovane e ricca donna il cui abbigliamento richiama la moda del Cinquecento veneto, in esso risaltano, abbondantissime, le maniche bianche come tutta la sopravveste che contrasta con la passamaneria verde scuro delle rifiniture apposte sulle cuciture del corpetto e della cinta chiusa sul davanti con un semplice fiocco.
L’ovale del volto è incorniciato dai capelli biondi, mossi in morbide onde e trattenuti dietro al capo, sulla destra appare un piccolo fiore tra i capelli.
La critica ha avanzato due ipotesi: l’una ravvisa in essa Violante, la figlia di Palma il Vecchio, bellissima donna che fu più volte ritratta dal Tiziano innamorato di lei; l’altra preferisce riconoscervi l’allegoria della Verginità.
Propenderei per questo secondo significato sia per le diverse copie che si conoscono e che non appartenenti a Tiziano o a Palma, sia per la reiterazione di attributi che rimandano alla virtù della verginità. Infatti la fanciulla indossa il cingolo (chiamato anche zona) o cinta virginale indicata tra l’indice e il medio della mano destra; uno smeraldo, cui si attribuiva il potere di cambiare colore in presenza di infedeltà; una perla, simbolo di purezza; l’anello nell’anulare della mano destra che Lomazzo nel suo “Trattato dell’arte della pittura” dice essere il punto da cui parte la vena del cuore; l’abito ricco e bianco e il fiore d’arancio dell’acconciatura che rimandano alla cerimonia sponsale.
Anche i gioielli che la donna raffigurata indossa rimandano simbolicamente all’amore e alla verginità: catena d’oro con una grande gemma verde (forse uno smeraldo di cui si è detto), con su incisa probabilmente la figura di Eros, e una perla pendente; un braccialetto in oro e smeraldi, l’anello all’anulare.
La gemma, peculiare di questa copia del dipinto, potrebbe riferirsi ad una gemma antica, come a quelle presenti nella Medagliere Estense. Su una di queste a forma ellittica (Museo Medagliere Estense inv. 406), risalente al II-III secolo d.C.,  è inciso un amorino con armi. Si tratta di un  diaspro verde e chiazze di colore rosso scuro chiamato diaspro sanguigno o eliotropio.
Il soggetto inciso alludeva alla forza dell’amore, concetto che veniva rafforzato dalla virtù propria dell’eliotropio che, secondo gli antichi romani, rendeva costanti anche le persone più inquiete.
  
Come Cenerentola La verginità era una caratteristica fondamentale per poter ambire ad un matrimonio importante. Cenerentola era assolutamente ingenua, sognatrice, inesperta della vita mondana, non possedeva abiti adeguati alla presentazione in pubblico, aveva piedi piccoli e proprio questi l’hanno resa unica nella prova della scarpa.

Se il dipinto rimanda, attraverso i simboli, alle regole di rappresentazione delle virtù femminili richieste nella società rinascimentale, la fiaba si affida a simboli meno espliciti ma ugualmente emblematici per evidenziare gli attributi virginali richiesti dalla tradizione ad una giovane donna che deve essere data in sposa. Gli attributi della Verginità, dopo il matrimonio, assumono il significato di fedeltà al marito.


Prima parte: http://artendmore.blogspot.it/2013/05/cenerentola-alla-galleria-estense-1.html
Terza parte: http://artendmore.blogspot.it/2013/08/cenerentola-alla-galleria-estense-3-e.html