giovedì 11 luglio 2013

Viaggiare nel tempo ... banalmente (1)

 Nel delirio degli esami ho scribacchiato queste note ispirata da un brano dell'ultimo libro di Arasse "Non si vede niente". Non si decidono amministratori in base alle vacanze, lo so bene, ma un nesso continuo a vedercelo.

L'uomo nomade preistorico viaggiava sulle tracce della sussistenza: per lui viaggiare era vivere.
Durante la lunga storia di Roma viaggiare significava combattere per aumentare o difendere i confini della "civiltà".
Nel Medioevo si viaggia verso i luoghi santi con la veste del pellegrino e, a volte , del crociato.
Nel Rinascimento, ai preesistenti motivi che valgono un viaggio si aggiunge il commercio e l'esplorazione.
Durante il corso dell'Ottocento, al nutrito gruppo di viaggiatori, si uniscono i pedanti studiosi. 
Oggi la parola viaggio equivale soprattutto alla vacanza che assume molte sfumature e caratteristiche ( vacanza culturale, sportiva, balneare, termale, ...)

Il ruolo del viaggio, negli ultimi decenni, è dunque cambiato moltissimo: nel secolo scorso solo supporre  che il viaggiatore potesse rilassarsi era una pura follia. 
 L'invenzione e il progresso dei mezzi di locomozione a motore, dal treno dall'automobile, dalla nave all'aereo, ha sovvertito l'idea di viaggio e ne ha ampliato moltissimo la possibilità, le distanze e le motivazioni diminuendo tempi di permanenza, di viaggio e i rischi.
In un passato non troppo remoto, uscire dalla città durante la calura estiva era una necessità sanitaria: il caldo e la minor disponibilità di acqua aumentava  il pericolo di diffusioni di malattie ed infezioni, favorite anche dalla densità abitativa e dalle carenti (o inesistenti) infrastrutture fognarie. Naturalmente solo i ricchi avevano la possibilità di spostarsi e allontanare il rischio di malattie alloggiando per alcuni mesi in "villa".  Questo significa villeggiatura: allontanarsi, anche solo per pochi chilometri, spesso in campagna o comunque in un contesto meno densamente abitato.
L'odierno binomio affari-vacanza-viaggio non è per nulla nuovo,  i latini avevano inventato due parole significative, che non ammettevano di essere vissute contemporaneamente: otium-negotium. L'agognato otium, il tempo dello spirito, indicava l'azione individuale compiuta nella meditata pace del silenzio che, se non era solitario, era condiviso tra pochi uomini che nutrivano la loro anima di studio e filosofia. A questo s'alterna il tempo degli affari umani (negotium) che presuppone la trattativa, la moltitudine, la confusione.
Oggi la duplice attività  otium-negotium si presenta diverso rispetto alle molte declinazioni che ha avuto nel corso della storia
Il fattore economico è insito nel viaggio e non costituisce più solo un possibile scopo di questo: viaggiare diventa in sé una questione economica, una fonte di reddito non a favore di chi compie "la fatica del viaggio" ma di chi ne organizza e cura le varie componenti.
Quindi il termine viaggio attualmente evoca, oltre all'idea di piacere e vacanza, anche l'idea di "affari economici" (senza nominare di chi siano questi affari), a prescindere dal motivo per cui il viaggiatore decide di partire.
Come in passato, il viaggio evidenzia lo status del viaggiatore, sia inteso come distinzione economica che culturale e questo essere marcatore di differenza sociale rimane tale se si intende portare il concetto di viaggio dal piano reale a quello metaforico.
Il viaggiatore "V.I.P." attraverso la meta, i mezzi di trasporto e la scelta dell'alloggio, così come attraverso gli accessori e l'abbigliamento, rimarca il suo status (nel senso di censo economico) che pretende essere esclusivo rispetto la massa e inclusivo rispetto ai suoi selezionati pari. Un alto prezzo permette la comodità assoluta nello spostamento, nessun tempo di attesa, nessuna noia di file, e l’accesso a mete esclusive, epurate da ogni visone o esperienza non consona al target e al prezzo pattuito. Non mancheranno pasti rassicuranti e curatissimi, divertimento abbondante, ogni comodità e servizi di cura e bellezza. Pagando ci si può dimenticare di essere parte dell'umanità e di essere sulla Terra. Dunque questa esperienza può essere fatta ovunque, purchè rientri nel personale concetto di esclusivo e rilassante o interessante; in fondo la differenza la fanno gli operatori del turismo (business)
Anche il "viaggio" metaforicamente inteso, quello che si fa con gli strumenti della cultura, ha i suoi livelli di status culturale: l'indipendenza e l'autonomia giocano un ruolo fondamentale: solo chi padroneggia criticamente i linguaggi è in grado di affrancarsi dalla proposta del viaggio preconfezionato e di esercitare una scelta critica tra i prodotti culturali proposti. Nel viaggio reale spesso funziona al contrario: la possibilità di investire, non di rado, significa poter usufruire di proposte preconfezionate che assicurano un confort, “ a prescindere”; il pacchetto viaggio permette di non usare la propria capacità di organizzare, di scegliere o di conoscere davvero la meta del viaggio ma di usufruire di “paradisi esclusivi…”:, oasi incontaminate ma in realtà non-luoghi improntati al piacere, svestiti di ogni “incontro reale”.
Ecco dunque che ricchi “viaggiatori reali” compiono l’artefatto e l’ingannevole esperienza dei meno colti “viaggiatori metaforici” ed entrambi ripiegano su prodotti che non interpellano la loro coscienza critica, si limitano ad assumere proposte preconfezionate, rassicuranti e prive di incontri problematici o soluzioni altre.
Se è vero quello che ho proposto, allora il “ricco ignorante” poco ha da “restituire” al paese democratico e, conoscendo il suo paradiso artificiale, è incurante del corso diversificato e complesso del resto del mondo.
Sempre nel paradosso banale della semplificazione, il potere dovrebbe di per sé essere amministrato da colui che ha saputo viaggiare modestamente, su strade meditate, conosciute e sperimentate che, se da una parte hanno prosciugato le poche sostanze economiche, dall’altra mantengono vivace il contatto critico e attento con la complessità reale.


L’Africa vista dai Romantici: Gericault e Turner (lezione)

Attraverso l’arte dell’Ottocento è documentabile la politica coloniale, lo scambio commerciale tra Europa ed Africa ma anche una delle più atroci piaghe dell’umanità: la tratta degli schiavi.



La Zattera della Medusa è uno dei dipinti più famosi del Romanticismo francese, esso documenta il passaggio dalla pittura di tema storico (Neoclassicismo) a quella di attualità con carattere di denuncia.
Gericault costruisce un dipinto di grandi dimensioni per descrivere un drammatico fatto di cronaca che aveva sconvolto l’opinione pubblica.
Era la prima volta che le grandi tele venivano utilizzate per rappresentare un tema diverso dalla religione o dai temi antichi (storia e mitologia classica) per rivolgersi a tutti con la pregnanza del dramma e della denuncia dell’iniquità.

I fatti
Nel 1816 la fregata Medusa salpa dalle coste francesi sull’Atlantico diretta in Senegal, per controllare il passaggio della colonia dall’Inghilterra alla Francia come previsto dal trattato di Parigi.
Al largo della Mauritania la nave Medusa si incaglia e, impossibilitata proseguire, si iniziano le manovre di salvataggio dei numerosi imbarcati che non stanno nelle poche scialuppe di salvataggio. Alle scialuppe viene dunque agganciata una grande zattera che ben presto si sgancia e viene abbandonata alla deriva.
Per più di venti giorni i quasi 150 naufraghi, abbandonati a se stessi, lottarono per la sopravvivenza. Molti morirono di sete e di fame, alcuni si uccisero e ci furono tragici episodi di cannibalismo.
La responsabilità fu data al capitano, nobile francese reduce dell’esercito ma incapace di governare una nave e di leggere le carte nautiche. Lo sgomento in Francia fu immenso per i ritardi dei soccorsi, l’inettitudine del capitano, che per essere stato eletto dal re, trascinò la neo-restaurata monarchia nello scandalo.

L’opera
Gericault decide di rappresentare il momento del massimo pathos immaginando che i superstiti abbiano avvistato la nave prima del salvataggio.
La nave Argo è un punto –lontano come la speranza- appena percepibile all’orizzonte mentre, sotto ai nostri occhi si compie lo scempio: esseri che perdono le loro caratteristiche umane per la morte, per gli stenti, a causa della perdita dei congiunti perché stanno azzannando i loro simili. Solo più oltre l’umanità reale volge la schiena a tanta efferatezza e si getta tutta in quella lontana e inafferrabile nave in lontananza.
Le vele di fortuna sono gonfie di vento e indicano chiaramente che non è ancora il tempo della salvezza, un cielo oscuro ci comunica che altre persone perderanno la vita quando la nave Argo arriverà finalmente a portare in salvo i pochissimi superstiti.
Se la vicenda è reale e attuale non così lo stile di Gericault che risente della grandezza eroica michelangiolesca nella rappresentazione dei naufraghi.
Immagina che i superstiti siano eroi che si siano trovati a combattere il male (una visione dell’umanità per questo verso simile a quella michelangiolesca). Per accentuare ciò cita alcune opere famose come il Laocoonte nel padre che piange il giovane figlio e il Cristo morto della Pietà di Michelangelo o della Deposizione di Caravaggio. Nell’esaltazione dell’uomo, proprio nel momento in cui la sua piccolezza si manifesta, sta la grandezza di questo dipinto che fu sicuramente visto da Turner infatti fu esposto a Londra dove ebbe immenso successo.

Ne La nave negriera, Turner documenta un momento tragico della storia britannica: l’epilogo della drammatica storia della schiavitù.
In particolare, il periodo di transizione tra l’approvazione della legge di abolizione della schiavitù (1833) e la sua abolizione vera e propria (1838) fu particolarmente ricco di episodi controversi. Questi 5 anni dovevano servire per regolarizzare le posizioni di schiavi e schiavisti. Furono invece occasione di abusi che causarono numerosi episodi drammatici che si accompagnarono alle campagne antischiaviste.
Turner rappresenta, in chiave abolizionista, due episodi che documentano il dramma della deportazione degli africani.

I fatti
Il primo evento aveva sconvolto a tal punto l’opinione pubblica da dare il via alla campagna contro la tratta degli schiavi: nel 1781 il capitano della nave negriera Zong, per farsi ripagare dall’assicurazione un carico di schiavi malaticci, aveva gettato i mare 132 africani, vivi e ancora incatenati ai ceppi, nelle acque infestate dagli squali dei Caraibi. Infatti i carichi erano assicurati come “carichi vivi” e arrivare a destinazione con gli africani morti non avrebbe consentito nessun risarcimento, invece era previsto il pagamento delle “perdite in mare”. Quando l’assicurazione londinese si rifiutò di pagare, il drammatico ecciddio divenne di dominio pubblico con tutti i suoi risvolti incredibili.
Un secondo motivo di ispirazione fu uno scandalo che riguardava la caccia scatenata alle navi negriere da parte dell’African Squadron (flottiglia africana della “marina britannica”) che doveva vigilare sulle navi che lasciavano la costa africana affinché non deportassero nuovi carichi umani. Questo sistema di protezione e vigilanza, per come era organizzato, provocava tragedie inimmaginabili:  quando i capitani delle navi, che avevano caricato di nascosto gli schiavi, vedevano avvicinarsi le African Squadron, facevano gettavare i neri in mare determinandone quasi sempre l’annegamento. Addirittura si venne a sapere che alcuni capitani delle stesse African Squadron, considerando che venivano pagati solo in base al numero degli schiavi ripescati dal mare, attendevano ad assaltare le navi schiaviste al largo, evitando di fermarle e perquisirle al porto.

L’opera
Per accostarsi a questa opera è fondamentale partire dal fatto che Turner non è interessato a raccontare una storia fatta di luoghi, persone e momenti. Infatti pur recependo la novità del Romanticismo che punta l’attenzione all’attualità, non è l’interesse cronachistico o di denuncia quello che guida il pennello di Turner, ma quello di trasmettere l’emozione del sublime: momento di somma relazione tra la Natura e l’uomo. In uno strepitoso tramonto infuocato una nave affronta la tempesta. Tra le onde spumose di un inverosimile colore limaccioso emergono ceppi, brandelli umani e d’arredo, indistinti. L’intento è quello di trasmettere l’orrore di quella atroce visione che trasmette la cruda realtà in una sorta mal di mare da tempesta, perché lo spettatore è strappato alla quiete dell’osservazione e trascinato in mezzo ai flutti tempestoso.
 Il tramonto diviene anch’esso lo spettro agghiacciante che, se da una parte sublima l’azione ignominiosa di schiavisti e antischiavisti, dall’altra prospetta la fine dell’umana pietà.


 Dedicato a Sandy Codo perchè la vita è una lotta.