giovedì 17 marzo 2011

Gioco a premi

Oggi 17 marzo 2011. 150° compleano dell'Italia.
Si è detto tutto e io non aggiungo altro.
Propongo solo un piccolo gioco.
Questa mattina ho fatto due fotografie alle 2 scuole statali in cui insegno, a pochi metri l'una dall'altra. Vi chiedo:
quali sono le differenze secondo voi?
In premio c'è una visita alla mostra "Italiani Modenesi"

martedì 15 marzo 2011

TESEO AL MUSEO


Il viaggio a Madrid è iniziato lo scorso anno, invece no!
E' iniziato tanto tempo fa: quando non conoscevo quelli che sarebbero stati i miei compagni di viaggio.
Il viaggio a Madrid è iniziato quando ho conosciuto Marìas e quando attraverso i suoi romanzi perlustravo Madrid e il Prado e Cuba e le lingue e molte altre cose che io, anche adesso, dopo più di 10 anni, continuo a collegare a Madrid, alla Madrid di Marias.
A Madrid, me ne sono resa conto prima di partire e di averla anche solo spiata, ci ero stata tanto tempo fa e quello che mi apprestavo a compiere era un ritorno.
Tutto questo era emerso in me in maniera nebulosa ma insinuante come fa un sospetto.
Credo che questo sospetto sia iniziato ad insinuarsi quando ho aperto la guida del Prado.
Il volume non era nuovo, l'avevo guardato anche altre volte, ma ora ero determinata a capire e così si era insinuato lampante e acutissimo il sentimento sbagliato, ero stata pervasa dalla nostalgia! Ma come? Di che potevo avere nostalgia?
Mi trovavo davanti alle immagini di dipinti conosciuti ma che, per la maggior parte, non avevo mai visto dal vero, dunque come potevo provare nostalgia?
Non è corretto percepire lo strazio dell'allontanamento, prima di provare l'entusiasmo del preparativo e il piacere dell'incontro.
Ho tentato di reprimere il tutto e di concentrarmi sulla assegnazione delle opere ai ragazzi.
Era successo già altre volte che tutto quel miscuglio di emozioni, che precedeva l'incontro con le opere -tante volte studiate e poi pensate, quasi visualizzate e comunque amate e desiderate , mille volte raccontate e ripensate- era stato calmato dalla presenza degli altri occhi che insieme a me vivevano il momento della conoscenza. Come si condivide una fatica e un dolore, una gioia e una ricorrenza, c'era sempre bisogno di altri per rendere più sopportabile o vivibile o meglio più quotidiano, un evento che subito percepivo come troppo emozionante.
E così, come quando per caso ci si imbatte in un grande amico, da tempo lontano, si è presi da gioia ed emozione, fino alle lacrime, ricordo come rimasi incredula e senza capacitarmi e cercavo di calmarmi e moderare la mia euforia che mi portava a ridere, saltare... e non sapevo se uscire, o restare a guardare ancora “la lezione del dottor Tulp”.
Mi trovavo a Londra con la famiglia e avevo deciso, senza troppo entusiasmo, di accogliere l'invito insistente che, dai manifesti, veniva rivolto ai passanti: Ritratti olandesi del XVII secolo esposti alla National Gallery. La mattina, mentre il resto della famiglia si dirige ad un mercatino, io varco la porta delle esposizioni della National ancora deserta. Mi aggiro nella prima sala e ammiro i ritratti di Halls quando varco la seconda sala mi trovo davanti a “La lezione di anatomia del dottor Tulp” dopo i primi secondi, in cui penso ad una copia, mi avvicino e leggo la targhetta, Rembrandt!
Oddiomio... e adesso?... mi allontano di qualche passo, mi avvicino, cerco il cellulare, lo ripongo immediatamente. Mi siedo, mi alzo, cambio quadro e ripenso a Rembrandt, a pochi passi da me, che faccio? Respiro, chiudo gli occhi, li riapro: c'è ancora! E allora mi metto ad analizzare ogni parte del dipinto e consapevole di quanto sia sciocco il mio comportamento mi appresto a staccarmi con lo sguardo e ancora di più con la mente e continuo il mio percorso... niente da fare.
Distrattamente mi aggiro nelle altre sale e passo in rassegna altri magnifici ritratti di gruppo e singoli e tutti li comparo, ingiustamente, al Rembrandt che non mi sarei aspettata di vedere e che ero così felice d'aver visto. Solo quando iniziai a costruire un discorso, che sarebbe stato fatto di parole se non fossi stata sola, la mia emozione si trasforma in accettazione della sorpresa, e, lentamente riacquistai la mia razionalità.
Per il Prado ero già pronta a pensare che mi sarebbero mancate quelle opere ancora prima di averle conosciute o viste, come se l'andare fosse un ritornare desiderato da tempo.
Davvero non so quanti e quali sono i modi di guadare le opere d'arte. Sono molti di più degli occhi, sono molti di più delle persone che le hanno mai guardate, le immagini entrano veloci e si insinuano insistenti anche se non ne hai consapevolezza. Si presentano come note o ignote, amiche o ripugnanti, incantatrici o estranee, lenitive o aggravanti di passioni o incomunicabili interrogativi.
Penso spesso che il capolavoro sia un opera comunicativa che continua a parlare del suo tempo alle persone di oggi, ma, diversamente dagli altri documenti, analogamente ad un gatto indulgente, si lascia lusingare anche da significati di oggi. Il viaggio che porta all'opera d'arte è una scoperta della mia esistenza nel tempo, è un esserci come persona del mio tempo, che si inserisce nella storia di chi non poteva sapere, dunque ignorava, della mia esistenza. E' un esserci -invadente- della mia storia, in una storia che ha avuto origine grazie a chi, ora, non c'è più.
Il viaggio inizia molto tempo prima quando incontro una riproduzione, e come un novello Teseo inizio il cammino nel labirinto e non posso arrestarmi se non col grave pericolo di cadere vittima del minotauro.
Il minotauro è il monstrum (desta meraviglia) dell'incomunicabile, l'unicità della meraviglia che rende unica e indecifrabile l'opera: la fagocita e l'allontana da ogni altro codice di comunicazione.
Non arrestarsi, non farsi intimorire dal minotauro, significa continuare ad aprire porte, conoscere e riconoscere questi linguaggi con altri. Lasciare che queste immagini, come fili (come il fil dell'Arte), si lascino riconoscere da altre e continuare a tessere e annodare fili senza mai dimenticare che il filo stesso èfatto dall'insieme di sottilissimi fili. L'incontrare altre opere-filo che possono rendere comprensibile, specificare o spiegare, escludere o ammettere relazioni o diversificazioni è l'apertura ad un viaggio in cui il senso della scoperta di ciò che è fuori mi arricchisce e mi rende responsabile.
Se penso a quando è iniziato questo viaggio questo viaggio a Madrid devo ripetere la frase che precede il programma del viaggio d'istruzione* e collocarla esattamente su un treno che mi portava a casa da Roma mentre una voce leggeva (i piaceri della vita) una pagina di Marias.
Apprezzo talmente tanto il progetto del viaggio che mentre questo smette di essere progetto e diviene viaggio, mi sento pervasa dall'ansia e dall'apprensione tanto che vorrei ancora allontanarlo e non renderlo storia per non sentire la tremenda nostalgia , la lontananza di ciò che, conosciuto per un momento, si è costretti a lasciare e abbandonare di nuovo.
L'antidoto migliore è la razionalità del discorso, rendere evidente ed esternare il filo.
Riguardare le opere attraverso gli altri sguardi è spesso interessante e nuovo se al mio filo si uniscono anche gli altri.
Non conosco il modo migliore per varcare la porta di un museo, probailmente non esiste.
Non ho mai pensato fosse un posto per tutti, ma solo per i curiosi, i sospettosi, gli scettici, i meditabondi, per quelli che cercano e di solito non trovano, soprattutto per quelli che hanno voglia di non perdersi nel presente e sfidano volentieri il passato.
Il museo è deludente se cerchi la bellezza, inutile se pensi sia una raccolta di decorazioni, noioso se pensi ad un luogo erudito, perfetto se pensi alle tue personali ed esclusive radici!
*
"...
Ho molto amato un uomo che mi ha guarito da molti mali
e uno di questi era la pesantezza del passo...
Nulla è importante nel viaggio quanto
l'essere liberi di raccogliere lungo il cammino..."